martedì 10 marzo 2020

Coronavirus: giusto il concetto “Io resto a casa”, ma il decreto è monco

Se un palazzo va in fiamme di notte, si scappa per strada in pigiama, o in mutande o nudi del tutto. Per tutti quelli che sono fuggiti, è un dramma. Ognuno ha perso l’appartamento, i soldi, i vestiti, i computer, gli smartphone, i mobili: la propria vita che si brucia. Per ognuno un sacrificio, un pianto, una disperazione. C’era un’altra soluzione? No. Occorreva salvare la pelle, e così è stato fatto. Analogamente, il decreto coronavirus “Io resto a casa” è giusto: obiettivo, non crepare di Covid-19.

Lasciamo stare che il provvedimento sia arrivato in gravissimo ritardo e che il problema sia stato drammaticamente sottovalutato dal Governo, in primis da Conte e Speranza (sorvoliamo su Sala e Zingaretti, che non appartengono al Governo centrale). Ora si pongono altre cinque questioni.

1) L’Italia deve sfondare di ulteriori 10 miliardi di euro il deficit. Si sconfina di altri 10 miliardi. Un surplus di rosso sul conto di 10 miliardi. Tanto per iniziare. È una stima approssimativa calcolata sul fatto che, grazie al decreto coronavirus “Io resto a casa”, i numeri del contagio facciano meno paura in un futuro prossimo. Non si sa quando. Con un effetto domino sul sistema Italia di cui non si conoscono gli effetti.

2) Col decreto, l’Italia scimmiotta la Cina. Che ha imposto il coprifuoco per cominciare a debellare il Covid-19. Non ho tempo da perdere, vado di fretta. Sicché mi esprimo mediante una sintesi casereccia. Attenzione alla differenza. Se in Cina sfondi il muro imposto dalla legge e ti beccano in giro, sei un uomo spacciato e finisci dritto fra le braccia di Manitù. Se in Italia circoli senza permesso (necessità, lavoro, salute), non s’è compreso quali siano le conseguenze. Si può circolare per comprovate esigenze lavorative o situazioni di necessità. Che vuol dire tutto e nulla. Poi ci sono le raccomandazioni, ossia i consigli. Infine ci sono le forti raccomandazioni, ossia i consigli super consigliati. Io non ci ho capito niente: non so che cosa sia vietato, che cosa sia raccomandato, che cosa sia fortemente raccomandato, quali siano le eccezioni, come dimostrare le necessità lavorative, come provare le situazioni di necessità. Trovo sublime l’autocertificazione. Io mi certifico da me. Divento un’azienda: produco un bene e certifico da me quell’oggetto, faccio un’omologazione in base ai miei criteri a capocchia in assenza di enti terzi che diano giudizi. È invece palese che ci sia il divieto assoluto di muoversi dalla propria abitazione a chi sia in quarantena o risulti positivo al corona: e ci mancherebbe pure.

3) Se un Governo emana un decreto coronavirus che paralizza l’Italia, i sacrifici economici non sono identici per tutti. Nel caso io sia un tassista, perdo un patrimonio perché nessuno sale sulla mia auto. Qualora io sia un professionista, oppure abbia la partita Iva, o debba pagare rate e mutui e anticipare al Fisco i soldi dell’anno dopo, sono nei guai. Perfino per i dipendenti sono cavoli amarissimi: la propria azienda produce un bene o un servizio che non viene venduto, mettendo a rischio la sopravvivenza della ditta. Il tutto peggiora se ci sono scadenze incombenti, rate, debiti di ogni tipo da onorare.

4) Viceversa, per altri, la musica è diversa: parlo per esempio di tutti i ministri che prendono lo stipendio, e che stipendio, dallo Stato senza ritardi, fino all’ultimo cent. Senza blocchi, zone rosse, aree che si scoloriscono e divengono arancione, mini-blocchi di Codogno, medi-blocchi della Lombardia, maxi-blocchi nazionali, consigli lievi, medi, forti. Un bonifico puntuale e preciso come la pioggia d’autunno, giusto e determinato come la morte.

5) A mio giudizio, serve un decreto per aiutare lavoratori e famiglie. Un fondo importante, da alimentare anche con altre sforbiciate immediate all’apparato burocratico-amministrativo di questa nazione. Una dotazione a beneficio di tutte le categorie. Siamo in guerra, il nemico si chiama coronavirus. “Io resto a casa”, combatto e ci perdo una barca di soldi. Ma tutti devono fare la loro parte.

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