domenica 7 gennaio 2018

Il calcio: un gioco lercio. L’assurda pretesa di trasformarlo in un gioco pulito con la VAR

Non esiste al mondo uno sport più lercio del calcio. In qualsiasi partita di qualunque categoria di qualsivoglia campionato, dalla finale mondiale al torneo degli ubriaconi del bar di zona, un incontro di calcio è un continuo tentativo di fottere l’avversario, l’arbitro, e ora anche la VAR. Si fa pressione su chi ha il fischietto in bocca dall’inizio alla fine, con simulazioni, esagerazioni, comportamenti nevrastenici. D’altronde, lo stesso regolamento del calcio è assurdo: una singola azione può essere valutata in mille modi da altrettante persone. Un contatto fra attaccante e difensore può essere considerato ostruzione o sfondamento a seconda della luna dell’arbitro. Un fallo di mano col braccio steso può essere visto come volontario o involontario in base al bioritmo del momento del giudice di gara.

Che la VAR possa rendere il calcio, gioco lercio per sua definizione, un gioco pulito è un’utopia. Anzitutto, è l’arbitro a stabilire se sia il caso di attivare la VAR. Secondariamente, le stesse immagini della tv possono essere valutate diversamente in base alla concezione del gioco e dello sport dell’arbitro. Che è sempre in buona fede. Ma è un uomo, un fascio di nervi, con le sue antipatie inconsce, le sue paure di dare fastidio a qualche potente, le sue amicizie e conoscenze che si porta in campo: in quella frazione di secondo, quando deve decidere, il più gelido degli arbitri viene influenzato da innumerevoli fattori che ne condizionano il fischio.

Tutto è peggiorato dal comportamento ignobile dei calciatori: non uno che dica, “Sì, l’ho presa di mano e l’ho pure fatto apposta”. Non uno che ammetta il contatto in area. Tutti ad alzare la mano quando la palla va in fallo laterale, in corner, quando un giocatore scatta sul filo del fuorigioco. Bluffano. Cercando di influenzare l’arbitro e i suoi collaboratori. Si azzuffano nello sporco, rendendo sempre più lercio il gioco.

Non c’è mai stata, non c’è e non ci sarà mai una soluzione: il calcio era e resta uno sport in cui fare il furbetto, se lo sai far bene, paga. In termini di rigori al momento giusto, cartellini gialli per i falli a centrocampo, gravi scorrettezze che passano inosservate. Anche perché il calcio è l’unico sport che contempla il fallo volontario senza pesanti conseguenze per chi lo commette: fai un’entrata per bloccare l’avversario, magari anche per lesionarlo; poi alzi le mani e dici che cercavi la palla e hai senza volerlo tranciato le cosce del tuo collega. Oppure salti, gli rifili una gomitata in mezzo alle gengive e sostieni che guardavi solo la palla, per cui non l’hai fatto apposta. Viceversa, chi viene appena sfiorato stramazza al suolo e l’arbitro abbocca: ci sono attaccanti che hanno costruito la propria carriera rotolandosi per terra al minimo soffiar di vento, realizzando gol in palese fuorigioco non segnalato grazie a numerose precedenti proteste intese a fare pressioni psicologiche. Ci sono difensori coi piedi a forma di ferro da stiro, che menano per tutto l’incontro e non vedono mai un cartellino giallo. È il calcio. Anche con la VAR. Arrendetevi.

Poi ci sono i calciatori che non si arrendono, ma appartengono a una categoria particolare. Quelli che ne dicono di tutti i colori all’arbitro, esasperati. Mi vengono in mente Simeone con Ceccarini nel 1998 (vedi foto in alto), Drogba con Ovrebo nel 2009 (altra foto). Grandissimi campioni puliti, in campo e fuori, dotati di personalità straripante. Ecco, forse qualche giocatore in più di questo calibro renderebbe il calcio meno lercio.

giovedì 4 gennaio 2018

Traoré: 70 metri in sei secondi. Ma come diavolo hanno fatto a prendere le misure?

Circola sul web una notizia che riguarda Traoré, un calciatore. Questo signore avrebbe percorso 70 metri in sei secondi. Lo dicono repubblica.it, lastampa.it, corriere.it, sport.sky.it. Si sprecano i paragoni con Bolt.

È possibile che Traoré abbia corso 70 metri in sei secondi? Se così fosse, e se Traoré si presentasse alle Olimpiadi di Tokyo 2020, e partecipasse alle gare dei 100, 200 e 400 metri, vincerebbe di sicuro. Anzi: sui 100, 200 e 400 metri, propongo che corrano solo i calciatori; invece gli atleti che si allenano quattro anni per esplodere sui 100, 200 e 400, mezze pippe che altro non sono, non li vogliamo neanche vedere. Sapete perché Bolt si è ritirato? Perché una sera sul web ha visto Traoré correre e ha detto: “Minchia, che paura”.

Ragioniamo. Proiettiamo quei 70 metri in sei secondi. Lo facciamo partire dai blocchi, su pista. Diciamo che grosso modo arriva a 8 secondi e 40 centesimi sui 100 metri. Roba da far venire un infarto a Ben Johnson quando era all’apice della forma steroidea.

Ma passi. Sì, in quel momento, Traoré ha fatto 70 metri in sei secondi. E gli anelli di Saturno hanno il sapore di fragola. E la sorella del portinaio ha fatto un giro con un extraterrestre su Giove. Quello che invece mi lascia perplesso è come abbiano fatto quei siti succitati a misurare con precisione i 70 metri. Come fanno a sapere la distanza percorsa da Traoré? Mistero. Si può andare a spanne: una misura indicativa. Saranno circa 70 metri. Poi però arrivano anche i secondi: sono sei. Tutto preciso al millimetro: 70 metri in sei secondi.

Non si può neanche dire che quei siti volessero scherzare o utilizzare un’iperbole: sono seri quando dicono che Traoré ha fatto 70 metri in sei secondi.

Azzardo un’ipotesi. Magari c’è qualche fattore che inganna l’occhio: Traoré corre più veloce degli altri giocatori. E allora dà l’impressione di essere un fulmine. A questa stregua, però, chiunque può dare l’idea di fare 70 metri in sei secondi. Faccio un esempio: su un rettilineo, in una gara di corsa, una lumaca supera la bisnonna del cugino del macellaio del centro di Caserta. Pare che la lumaca sia una saetta. In realtà, è la bisnonna del cugino del macellaio del centro di Caserta a essere più lenta.

Risulta divertente fare un’altra ipotesi: andare a caccia della fonte della notizia. Vediamo un po’: chi è il primo sito nel mondo che dice che Traoré ha fatto 70 metri in sei secondi? Dopodiché, magari, chissà, ragionando sempre e solo per ipotesi, quel sito che ha detto che Traoré ha fatto 70 metri in sei secondi poi è stato copiato da un secondo, un terzo e un quarto sito. Oppure, il secondo ha copiato il primo, e poi il terzo ha copiato il secondo, e il quarto il terzo... 

Googlando, in effetti sportbible.com (da cui ho tratto la foto) paragona Traoré a Bolt. Però in questo caso lo scherzo è palese: l’iperbole è voluta e anche simpatica. Appunto, è lo stesso schema mentale per cui la lumaca pare una saetta a confronto della bisnonna del cugino del macellaio del centro di Caserta. 

Un ultimo appunto. Traoré è un giocatore modesto (uno scarto del Barcellona) che corre con la tecnica di un anatroccolo dopo un’indigestione di uova sode. Bolt, ma anche Lewis o altri, è strapotenza fisica, scienza della corsa, tecnica studiata al microscopio millimetro per millimetro, con la postura di un bronzo di Riace e la maestosità di un’opera monumentale. Questo i ragazzi che si bevono ogni sciocchezzuola propinata su Internet devono saperlo.

lunedì 1 gennaio 2018

Federer: lungo stop per infortunio? Non è vero

Leggo su gazzetta.it il titolo: “Tennis, il ritorno di Federer fa rima ancora con vittoria: Sugita ko”. E fin qui, forse tutto ok. Perché forse? Perché non si capisce bene che cosa s’intenda per “ritorno”. Lo spiega il sommario: “Dopo il lungo stop per infortunio l’elvetico fa la sua apparizione nel tradizionale torneo misto per nazioni (come un anno fa prima di Melbourne) e non ha problemi a battere il nipponico 6-4, 6-3”.

Ecco quindi il perché del “ritorno” secondo la gazzetta.it: “il lungo stop per infortunio”. La conferma arriva dall’articolo: “Lo svizzero ha fatto di nuovo il suo gioco andando a fare un break nel 5° gioco del primo set e nel terzo del secondo, praticamente sempre in controllo della partita da parte di Federer che nonostante la lunga assenza dai campi è stato eletto miglior sportivo dell’anno sia per la Gazzetta dello Sport, ma anche dalla Aips”. Quindi, “nonostante la lunga assenza dai campi”, Roger è tornato. Dopo l’infortunio.

Boh. In realtà, per Federer, a fine 2017 nessun infortunio pesante e nessuna pausa lunga.

Nel 2017, infatti, Federer non solo si è confermato il più grande tennista di ogni epoca; ma è diventato anche il miglior atleta di tutti i tempi. A gennaio 2017, ha giocato l’Hopman Cup, torneo non ufficiale a squadre nazionali che si tiene a Perth, in Australia. All’Australian Open ha trionfato in una finale pazzesca contro Nadal. A Indian Wells, negli ottavi ha stangato ancora Rafa e ha sconfitto Sock in finale. Al Masters 1000 di Miami, ha massacrato Nadal in finale. Qui, nel 2017, una pausa: salta il rosso. Ad Halle, devasta 6-1, 6-3 Alexander Zverev. A Wimbledon, è favoloso: titolo dello Slam numero 19. A Flushing Meadows, nei quarti, un calo: perde da Del Potro. Alla Laver Cup, torneo non ufficiale in onore della leggenda Rod Laver, si esibisce in un match straordinario contro Kyrgios e fa vincere l’Europa. A Shanghai, annichilisce Nadal in finale. A Basilea, finale tiratissima contro Del Potro e altra vittoria. Ultimo appuntamento stagionale, le Finals di Londra, giù di corda, viene battuto da Goffin. Ma zero pause lunghe per infortuni a fine 2017.