L’Intelligenza Artificiale generativa sta creando problemi ad avvocati, giornalisti, studiosi, ricercatori, medici, infinite categorie e semplici curiosi. Come "frega" tutti? I suoi punti di forza sono tre.
1) AI è una simpatica chiacchierona, che ti rimpinza di dettagli, risultando affascinante. Se le chiedi cos’è uno starnuto, arriva a parlarti di tutti gli tsunami verificatisi nella storia del globo terracqueo.
2) È un’allegra comara, pettegola, che miscela un 30% di vero con un 30% di parzialmente inventato, più un 30% di idiozie evidenti e un 10% di fesserie mascherate con involontaria furbizia. Una sorta di produttrice di inciuci che eccitano le menti deboli e annoiate.
3) Si salva. Ti dice: “Le risposte dell’AI potrebbero contenere errori”. Pertanto, non puoi mai rimproverarle nulla, perché lei ti aveva avvisato con largo anticipo. In questo modo, vince sempre. Se racconta il vero, ai tuoi occhi pare intelligentissima. Se racconta il falso, con l’utente che ci casca copiando e incollando, sono affari di chi l’ha usata dimenticando l’avvertenza.
Perché l’AI generativa sbaglia? Perché è l’uomo a introdurre nel cervellone i dati per addestrarla. Se quei dati sono errati, la risposta sarà fuorviante. Ognuno di noi ha la testa colma di pregiudizi, dovuti a educazione, cultura, amicizie, studi, amori, inclinazioni. Sono preconcetti di sociali, culturali, storici, religiosi. L’Intelligenza Artificiale prende quelle storture di noi poveri esseri umani, fasci di nervi esposti a mille venti, malinconie, rabbie, frustrazioni, invidie profonde, ed eleva all’ennesima potenza, essendo in grado di amplificare in un nanosecondo l’intima convinzione che sottende a ogni comportamento.
Inoltre, l’AI risucchia tutta l’informazione possibile e immaginabile del web. Problema: il 99% di quanto si trova nei siti è fake. Se fosse vero, nessuno leggerebbe. I portali sono costretti a pubblicare scemenze, molto sexy e attraenti, per stare in piedi. E hanno una fretta del demonio: bisogna andare online il prima possibile, perché gli altri sono già lì o stanno per uscire. L’AI assorbe tutte quelle cretinate - frutto a loro volta di copiaincolla - senza capacità di discernimento. Ingoiando anche le bufale dei siti che utilizzano l’ironia, in quanto l’Intelligenza Artificiale è dotata della fantasia e della creatività di una gallina.
In altri termini, l’AI non ha la minima idea di quel che dice. Si basa sulle probabilità statistiche che le risposte siano corrette. Non conosce le sfumature, che poi restano alla base della nostra temporanea esistenza. Tuttavia, è altamente seduttiva: una signorina pronta a svuotare il conto corrente del politico beota facendogli credere nell’intimità di essere un uomo piacevole.
Allora l’AI generativa è intelligente, sì o no? Non esiste una sola intelligenza, ma tante. Se per te è intelligente chi ha la capacità di elaborare enormi quantità di informazioni vere e false spacciandole per verità, allora sì, l’AI è super dotata. Se per intelligenza intendi la coscienza, la capacità di comprendere veramente il mondo, siamo davanti a una demente. Ma più idiota ancora è chi la usa reputandola una dea infallibile.
Blog di Alessandro Ascione
Classe 1969, dal 1987 sono giornalista dell'auto: settore legale (attualità e inchieste)
mercoledì 18 giugno 2025
domenica 15 giugno 2025
Chingotto e Galán sfasciano Coello/Tapia nella finale del BNL Italy Major Premier Padel 2025: la chiave tecnica
Match sublime di Federico Chingotto e Alejandro Galán, che distruggono la coppia migliore di ogni epoca, formata da Arturo Coello e Agustín Tapia, nella finale del BNL Italy Major Premier Padel 2025: 6-3 7-5. La chiave tecnica è data da una maggiore aggressività di Chingotto, con volée più profonde, pallonetti di rovescio lunghissimi e una vibora velenosa come non mai (con impatto più decentrato del solito per massimizzare lo slice) sul rovescio del Re, Coello. Che di rado ha avuto un angolo di uscita comodo.
Da parte sua, Galán ha rappresentato una sentenza senza appello, con schiacciate che nel 90% dei casi risultavano imprendibili per Arturo, perché troppo alte dopo il rimbalzo a vetro.
Federico ha "visto" la strada, aprendo varchi per gli attacchi fulminei di Alejandro. Chingotto l’architetto, Galán il giustiziere.
A inizio secondo set, i Coello/Tapia hanno cambiato strategia, con una maggiore inclinazione da parte di Arturo e cercare il controsmash dopo il remate di Galán. Una tattica vincente per i primi sei game; dopodiché sono arrivare le contromisure di Ale che ha iniziato a picchiare dalla parte del King.
Abituati a dominare e a imporre il ritmo, Coello e Tapia si sono trovati sotto pressione per gran parte dell’incontro. È la prima volta in assoluto che noto come il mostro spagnolo non sia riuscito a connettersi pienamente con l'argentino: in un gioco di squadra con equilibri psicologici delicatissimi, è venuta a mancare l’armonia di coppia. Viceversa, la chimica fra gli sfidanti ha rasentato la perfezione nei 90 minuti di battaglia di nervi, con i break decisivi all’ottavo game del primo set, nonché al settimo e all’undicesimo game della seconda frazione.
Non trattasi di un passaggio di consegne, purché Coello e Tapia escogitino altre soluzioni: al Mozart del padel in particolare servirà una maggiore ispirazione per respingere l’assalto al trono di Chingotto e Galán. I quali si sono tolti dalla spalla la scimmietta beffarda, interrompendo una striscia di nove sconfitte consecutive contro i due fenomeni che durava da luglio 2024.
A inizio secondo set, i Coello/Tapia hanno cambiato strategia, con una maggiore inclinazione da parte di Arturo e cercare il controsmash dopo il remate di Galán. Una tattica vincente per i primi sei game; dopodiché sono arrivare le contromisure di Ale che ha iniziato a picchiare dalla parte del King.
Abituati a dominare e a imporre il ritmo, Coello e Tapia si sono trovati sotto pressione per gran parte dell’incontro. È la prima volta in assoluto che noto come il mostro spagnolo non sia riuscito a connettersi pienamente con l'argentino: in un gioco di squadra con equilibri psicologici delicatissimi, è venuta a mancare l’armonia di coppia. Viceversa, la chimica fra gli sfidanti ha rasentato la perfezione nei 90 minuti di battaglia di nervi, con i break decisivi all’ottavo game del primo set, nonché al settimo e all’undicesimo game della seconda frazione.
Non trattasi di un passaggio di consegne, purché Coello e Tapia escogitino altre soluzioni: al Mozart del padel in particolare servirà una maggiore ispirazione per respingere l’assalto al trono di Chingotto e Galán. I quali si sono tolti dalla spalla la scimmietta beffarda, interrompendo una striscia di nove sconfitte consecutive contro i due fenomeni che durava da luglio 2024.
lunedì 29 luglio 2024
Colonnine di ricarica in Italia: sei fake elettriche
Funziona così. Un sito cosiddetto importante di un’ex testata che si presumeva autorevole spara la fake. Mille siti con gente terrorizzata che lavora sotto pressione per via di manager incompetenti copiano e incollano tutto. E il gioco è fatto: la fake elettrica è servita. Non faccio nomi e non linko nessuno per evitare pubblicità gratuita. Mi limito a evidenziare le sei fake elettriche che riguardano le colonnine di ricarica in Italia.
1) Sulla nostra rete autostradale ci sono 963 colonnine: fake.
In realtà, ci sono 963 punti di ricarica (fonte Motus-E). Mediamente, ogni colonnina ha due punti di ricarica. Risultato, ci sono 480 colonnine circa.
2) Fatto 100 il numero di punti, l’85% è di tipo veloce in corrente continua “più” il 62% che supera i 150 kW di potenza. Impossibile: fa 147% la somma.
In realtà, l’85% è di tipo veloce in corrente continua e il 62% supera i 150 kW di potenza, che è cosa molto diversa.
3) Il 41% delle autostrade ha infrastrutture per la ricarica. Falso.
In realtà, il 41% delle aree di servizio autostradali è dotato già di infrastrutture per la ricarica.
4) Ora Autostrade per l’Italia metterà altri punti ad alta potenza di ricarica (HPC) da almeno 300 kW. Che si sommano alle altre prese da oltre 300 kW. Idiozia.
In realtà, i nuovi bandi prevedono l’installazione di colonnine esclusivamente ad alta potenza di ricarica (HPC) da almeno 300 kW complessivi (fonte Aspi). Cioè, sono 150 kW per punto di ricarica. È molto diverso.
5) Nel complesso, in Italia ci sono 56.992 colonnine attive. No e no.
Due bufale in un colpo.
In realtà, anzitutto, ci sono 56.992 punti: grosso modo 28.000 colonnine.
Inoltre, esistono 56.992 punti installati. Il 17,9% dei punti installati è in attesa di collegamento e attivazione. Ossia è inattivo, non è nato, è lì per bellezza o per fare scena o per essere funzionale alle fake elettriche.
6) Grazie al Pnrr verranno installati a breve oltre 41.000 colonnine ad alta e altissima potenza da parte degli operatori della ricarica. No.
In realtà, anzitutto sono 41.000 punti (attorno a 20.000 colonnine). Poi non c’è nessuna installazione. Ci sono bandi pubblici. Se gli operatori rispondono, se questi hanno i requisiti, se mantengono le promesse anche in termini di potenza alta e altissima, se i punti vengono collegati e non restano lì per fare le belle statuine, allora forse ecco i nuovi punti. Il primo bando è stato un miserabile flop, per la cronaca.
A tutto questo, si dovrebbe aggiungere qualche dettaglio. Di quelli attivi, esistono pure punti di ricarica irraggiungibili, poco visibili, in luoghi del tutto inutili, senza continuità del conduttore di protezione, privi di funzione di controllo attiva, dismessi, vecchi, di difficile utilizzo se accanto c’è già un’auto in carica, inaccessibili a chi è meno agile.
Mezza parola sui “minimi ostacoli di natura burocratica” da risolvere per l’attivazione dei punti: pratiche fra venditori e distributori di energia, domande d’installazione, posa dei cavi, lavori di scavo e di impianto, allacciamento, autorizzazioni di competenza degli enti locali coinvolti in diverse sue funzioni tecniche e urbanistiche, autorizzazione delle soprintendenze per i vincoli paesaggistici e archeologici, lavori di fornitori di gas e luce che impediscono l’allacciamento, eventuale segnalazione certificata di inizio lavori, installazione eventuale di cabine supplementari (una di trasformazione e una di consegna).
1) Sulla nostra rete autostradale ci sono 963 colonnine: fake.
In realtà, ci sono 963 punti di ricarica (fonte Motus-E). Mediamente, ogni colonnina ha due punti di ricarica. Risultato, ci sono 480 colonnine circa.
2) Fatto 100 il numero di punti, l’85% è di tipo veloce in corrente continua “più” il 62% che supera i 150 kW di potenza. Impossibile: fa 147% la somma.
In realtà, l’85% è di tipo veloce in corrente continua e il 62% supera i 150 kW di potenza, che è cosa molto diversa.
3) Il 41% delle autostrade ha infrastrutture per la ricarica. Falso.
In realtà, il 41% delle aree di servizio autostradali è dotato già di infrastrutture per la ricarica.
4) Ora Autostrade per l’Italia metterà altri punti ad alta potenza di ricarica (HPC) da almeno 300 kW. Che si sommano alle altre prese da oltre 300 kW. Idiozia.
In realtà, i nuovi bandi prevedono l’installazione di colonnine esclusivamente ad alta potenza di ricarica (HPC) da almeno 300 kW complessivi (fonte Aspi). Cioè, sono 150 kW per punto di ricarica. È molto diverso.
5) Nel complesso, in Italia ci sono 56.992 colonnine attive. No e no.
Due bufale in un colpo.
In realtà, anzitutto, ci sono 56.992 punti: grosso modo 28.000 colonnine.
Inoltre, esistono 56.992 punti installati. Il 17,9% dei punti installati è in attesa di collegamento e attivazione. Ossia è inattivo, non è nato, è lì per bellezza o per fare scena o per essere funzionale alle fake elettriche.
6) Grazie al Pnrr verranno installati a breve oltre 41.000 colonnine ad alta e altissima potenza da parte degli operatori della ricarica. No.
In realtà, anzitutto sono 41.000 punti (attorno a 20.000 colonnine). Poi non c’è nessuna installazione. Ci sono bandi pubblici. Se gli operatori rispondono, se questi hanno i requisiti, se mantengono le promesse anche in termini di potenza alta e altissima, se i punti vengono collegati e non restano lì per fare le belle statuine, allora forse ecco i nuovi punti. Il primo bando è stato un miserabile flop, per la cronaca.
A tutto questo, si dovrebbe aggiungere qualche dettaglio. Di quelli attivi, esistono pure punti di ricarica irraggiungibili, poco visibili, in luoghi del tutto inutili, senza continuità del conduttore di protezione, privi di funzione di controllo attiva, dismessi, vecchi, di difficile utilizzo se accanto c’è già un’auto in carica, inaccessibili a chi è meno agile.
Mezza parola sui “minimi ostacoli di natura burocratica” da risolvere per l’attivazione dei punti: pratiche fra venditori e distributori di energia, domande d’installazione, posa dei cavi, lavori di scavo e di impianto, allacciamento, autorizzazioni di competenza degli enti locali coinvolti in diverse sue funzioni tecniche e urbanistiche, autorizzazione delle soprintendenze per i vincoli paesaggistici e archeologici, lavori di fornitori di gas e luce che impediscono l’allacciamento, eventuale segnalazione certificata di inizio lavori, installazione eventuale di cabine supplementari (una di trasformazione e una di consegna).
Rivoluzione pedaggi. Mia previsione: i privati scapperanno, autostrade gestite dallo Stato
Oggi il business dei pedaggi delle autostrade attira investitori privati italiani ed esteri, che hanno modo di fare profitti da capogiro. Ma le cose cambieranno in futuro, perché il Consiglio dei ministri ha approvato un disegno legge Concorrenza rivoluzionario per quanto riguarda le tariffe autostradali.
Attualmente infatti lo Stato è proprietario delle autostrade: le dà in gestione ai privati. Questi incassano i pedaggi; in cambio, fanno manutenzione. Meno incidenti e più soldi investiti dalle concessionarie private nelle infrastrutture, più alti i pedaggi. Lo dice ogni singola convenzione fra Stato e gestori.
Il disegno legge Concorrenza cambia tre cose.
1) Per le concessioni che scadranno dal 2025 verrà applicato un nuovo modello tariffario. Quale? Il prezzo del pedaggio sarà formato da tre elementi.
a) Tariffa e gestione di competenza della concessionaria.
b) Tariffa di costruzione di competenza della concessionaria.
c) Oneri integrativi di competenza dell’ente concedente, lo Stato: l’extragettito. Finalizzato a recuperare i finanziamenti pubblici concessi per la realizzazione del sistema infrastrutturale a pedaggio.
2) I proventi dell’extragettito saranno utilizzati per investimenti autostradali, compresa la messa in sicurezza della viabilità locale di adduzione, senza incrementare i pedaggi. Per la prima volta una parte dei pedaggi non entrerà nelle casse di grandi gruppi, ma andrà allo Stato. Tutto questo attraverso quattro mosse:
a) il controllo dei pedaggi per evitare rincari sregolati;
b) la promozione degli investimenti;
c) la ricerca della sostenibilità economica delle concessioni autostradali;
d) il potenziamento dei controlli da parte dello Stato sulla gestione delle concessioni.
Obiettivo, realizzare opere pubbliche e tenere sotto controllo le tariffe, facendo crescere la concorrenza tra gli operatori del settore.
3) Il nuovo modello prevede che le concessioni durino massimo 5 anni. Per quelle in essere, si manterranno le regole esistenti con scadenze tassative per la revisione del Piano economico finanziario. Inoltre, nei prossimi mesi verrà valutata la congruità dei maggiori costi per investimenti presentati dai concessionari.
Così, per i privati sarà molto più difficile generare profitti stellari. I margini scenderanno. Più controllo del proprietario (lo Stato) e meno quattrini per i gestori. Che cosa faranno le concessionarie? Una volta finita la convenzione, scapperanno, come loro diritto. Risultato: lo Stato, proprietario della rete autostradale, gestirà direttamente la stessa, senza darla ai privati.
Il disegno legge Concorrenza cambia tre cose.
1) Per le concessioni che scadranno dal 2025 verrà applicato un nuovo modello tariffario. Quale? Il prezzo del pedaggio sarà formato da tre elementi.
a) Tariffa e gestione di competenza della concessionaria.
b) Tariffa di costruzione di competenza della concessionaria.
c) Oneri integrativi di competenza dell’ente concedente, lo Stato: l’extragettito. Finalizzato a recuperare i finanziamenti pubblici concessi per la realizzazione del sistema infrastrutturale a pedaggio.
2) I proventi dell’extragettito saranno utilizzati per investimenti autostradali, compresa la messa in sicurezza della viabilità locale di adduzione, senza incrementare i pedaggi. Per la prima volta una parte dei pedaggi non entrerà nelle casse di grandi gruppi, ma andrà allo Stato. Tutto questo attraverso quattro mosse:
a) il controllo dei pedaggi per evitare rincari sregolati;
b) la promozione degli investimenti;
c) la ricerca della sostenibilità economica delle concessioni autostradali;
d) il potenziamento dei controlli da parte dello Stato sulla gestione delle concessioni.
Obiettivo, realizzare opere pubbliche e tenere sotto controllo le tariffe, facendo crescere la concorrenza tra gli operatori del settore.
3) Il nuovo modello prevede che le concessioni durino massimo 5 anni. Per quelle in essere, si manterranno le regole esistenti con scadenze tassative per la revisione del Piano economico finanziario. Inoltre, nei prossimi mesi verrà valutata la congruità dei maggiori costi per investimenti presentati dai concessionari.
Così, per i privati sarà molto più difficile generare profitti stellari. I margini scenderanno. Più controllo del proprietario (lo Stato) e meno quattrini per i gestori. Che cosa faranno le concessionarie? Una volta finita la convenzione, scapperanno, come loro diritto. Risultato: lo Stato, proprietario della rete autostradale, gestirà direttamente la stessa, senza darla ai privati.
mercoledì 5 giugno 2024
Multa per guida in forte stato d’ubriachezza senza alcoltest: davvero questo ti scandalizza?
Sta sollevando polemiche la sentenza 20763/2024 della Cassazione, quarta sezione penale, del 29 febbraio e resa nota il 27 maggio. Web e social in fiamme: “Da adesso Polizia e Carabinieri possono multare anche solo in base ai sintomi. Questo non si fa, questo non si dice, è maleducazione, siamo scandalizzati, è una dittatura. Quelle cattivone delle Forze dell’ordine hanno sanzionato un guidatore solo per quale sintomo, a simpatia. Come se fossero medici”. Davvero le cose stanno in questo modo?
Il caso risale al 12 settembre 2018 quando un uomo provoca un incidente. Le Forze dell’ordine lo sanzionano con la pena più grave, come se l’etilometro avesse rilevato un tasso alcolemico superiore a 1,5 grammi di alcol per litro di sangue (articolo 186 del Codice della strada): multa per forte stato d’ubriachezza, considerando che il limite è di mezzo grammo. Gli stessi operatori rilevano sintomi quali stato confusionale (testimoniato anche dagli urti dell’auto contro il cordolo del marciapiede), mancata risposta alle sollecitazioni degli operanti, condizione comatosa, presenza di un forte odore di alcol (articolo 379 del Regolamento di attuazione del Codice della strada). Sono regole esistenti da un’eternità, non c’è nessuna novità, la notizia non esiste, la Cassazione non ha fissato proprio nessun principio.
In seguito all’incidente, il referto ospedaliero parla di 3,69 grammi di alcol per litro di sangue, ossia oltre sette volte la soglia ammessa dal Codice della strada. Peraltro rilevati a distanza di chissà quanto tempo dal sinistro: se ne desume che al momento dell’incidente il livello potesse essere ancora più alto, perché nel frattempo l’organismo ha assorbito l’alcol. Trattavasi di ubriaco fradicio, una sorta di mina vagante pronta a esplodere in faccia ad altri automobilisti. Ma anche agli utenti vulnerabili, come chi va in moto, in bici, su monopattino elettrico, a piedi.
La Cassazione non lo dice in modo esplicito, lasciandolo intendere (le sentenze degli ermellini non sono testi scolastici per i bambini): è molto probabile che il tizio, dopo aver causato l’incidente (con feriti? non si sa), abbia rifiutato l’alcoltest. Pertanto abbiamo un ubriaco fradicio (quasi quattro grammi di alcol per litro di sangue, da esame scientifico di laboratorio) che ha provocato un sinistro, e detto no all’etilometro. Di qui la multa in base all’articolo 186 del Codice della strada che esiste dal 1992, comma 7: “Salvo che il fatto costituisca più grave reato, in caso di rifiuto dell'accertamento di cui ai commi 3, 4 o 5, il conducente è punito con le pene di cui al comma 2, lettera c)”. La Cassazione non ha inventato nessuna legge, non c’è nessuna notizia, non c’è nessuno Stato di Polizia: è così dal 1992. Fanno tuttavia presa sulla massa articoli e video nei social in cui si dice: ora la Cassazione ha inventato una legge tale per cui, se per Polizia o Carabinieri un guidatore ha i sintomi di chi ha bevuto, allora scatta la multa. Bufale, fake news affascinanti: melma diffusa nel web.
Davvero vi scandalizza una multa a un signore alla guida in condizione comatosa con 3,69 grammi di alcol per litro di sangue, presenza di alito vinoso, equilibrio precario, difficoltà di espressione? Quali princìpi etici e morali calpesta quella multa? Che cosa inquieta le vostre notti causando incubi?
Il caso risale al 12 settembre 2018 quando un uomo provoca un incidente. Le Forze dell’ordine lo sanzionano con la pena più grave, come se l’etilometro avesse rilevato un tasso alcolemico superiore a 1,5 grammi di alcol per litro di sangue (articolo 186 del Codice della strada): multa per forte stato d’ubriachezza, considerando che il limite è di mezzo grammo. Gli stessi operatori rilevano sintomi quali stato confusionale (testimoniato anche dagli urti dell’auto contro il cordolo del marciapiede), mancata risposta alle sollecitazioni degli operanti, condizione comatosa, presenza di un forte odore di alcol (articolo 379 del Regolamento di attuazione del Codice della strada). Sono regole esistenti da un’eternità, non c’è nessuna novità, la notizia non esiste, la Cassazione non ha fissato proprio nessun principio.
In seguito all’incidente, il referto ospedaliero parla di 3,69 grammi di alcol per litro di sangue, ossia oltre sette volte la soglia ammessa dal Codice della strada. Peraltro rilevati a distanza di chissà quanto tempo dal sinistro: se ne desume che al momento dell’incidente il livello potesse essere ancora più alto, perché nel frattempo l’organismo ha assorbito l’alcol. Trattavasi di ubriaco fradicio, una sorta di mina vagante pronta a esplodere in faccia ad altri automobilisti. Ma anche agli utenti vulnerabili, come chi va in moto, in bici, su monopattino elettrico, a piedi.
La Cassazione non lo dice in modo esplicito, lasciandolo intendere (le sentenze degli ermellini non sono testi scolastici per i bambini): è molto probabile che il tizio, dopo aver causato l’incidente (con feriti? non si sa), abbia rifiutato l’alcoltest. Pertanto abbiamo un ubriaco fradicio (quasi quattro grammi di alcol per litro di sangue, da esame scientifico di laboratorio) che ha provocato un sinistro, e detto no all’etilometro. Di qui la multa in base all’articolo 186 del Codice della strada che esiste dal 1992, comma 7: “Salvo che il fatto costituisca più grave reato, in caso di rifiuto dell'accertamento di cui ai commi 3, 4 o 5, il conducente è punito con le pene di cui al comma 2, lettera c)”. La Cassazione non ha inventato nessuna legge, non c’è nessuna notizia, non c’è nessuno Stato di Polizia: è così dal 1992. Fanno tuttavia presa sulla massa articoli e video nei social in cui si dice: ora la Cassazione ha inventato una legge tale per cui, se per Polizia o Carabinieri un guidatore ha i sintomi di chi ha bevuto, allora scatta la multa. Bufale, fake news affascinanti: melma diffusa nel web.
Davvero vi scandalizza una multa a un signore alla guida in condizione comatosa con 3,69 grammi di alcol per litro di sangue, presenza di alito vinoso, equilibrio precario, difficoltà di espressione? Quali princìpi etici e morali calpesta quella multa? Che cosa inquieta le vostre notti causando incubi?
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