lunedì 30 agosto 2010

Bologna-Inter 0-0: Benitez, l’uomo-camomilla che non conosce il pianeta nerazzurro. Servono gli elettrochoc di Mourinho

Benitez non ci sta capendo niente. La scorsa stagione Mourinho ha fatto un miracolo, mettendo a segno un’irripetibile tripletta grazie a continui elettrochoc alla squadra. José attaccava stampa, giornalisti singoli, giocatori avversari, allenatori, arbitri. E poi metteva nel mirino qualche proprio giocatore, vedi Balotelli. Mourinho aveva compreso che servono continue scosse mediatiche, si doveva far vivere la squadra come afflitta da sindrome di accerchiamento, occorreva un catenaccio a doppia mandata in campo e fuori, condito con contropiede di gioco e verbale.

Perché l'Inter non ha la forza del Brasile 1970. L'Inter è come l'Italia 1982: inferiore alle altre (leggi Chelsea, Barcellona e Bayern), ma vincente; così come la Nazionale di Bearzot stava sotto ad Argentina, Brasile e Germania. Mi spiace, ma Benitez invece vive sulla Luna. Pensa di avere in mano una rosa tale da consentirgli un atteggiamento bonario, da zio pacioccone, con la stampa, e con i propri giocatori. Reputa che bastino tranquillità e flemma. In panchina suda in silenzio, accompagnandosi con un asciugamano. Sarebbero necessari urlacci e sfuriate. Lo vorrei vedere paonazzo, con le vene del collo che esplodono dalla furia.

Per scatenare l’Inter occorre passione, ardore, furore. Serve il sangue agli occhi, la rabbia che ribolle nelle arterie. Si deve trasmettere cattiveria e ferocia agonistica. Come faceva Mourinho, raffinato psicologo. Benitez è un uomo-camomilla. Te lo puoi permettere se hai in squadra Pelé e Maradona. Con Pandev che sbaglia due appoggi e uno stop, ti alzi dalla panchina e cominci a urlare così forte che si deve sentire solo te nello stadio.

Una piccolissima annotazione tattica, disquisizioni che generalmente mi annoiano. Che Benitez sia in stato confusionale lo dimostra una scelta precisa: ha schierato Coutinho come ala destra. Allora, caro Rafa, usciamo subito dall’equivoco: o piazzi il brasiliano dietro le due punte, oppure è meglio che lo mandi a farsi le ossa in serie B, dove volano calci e sputi. Perché altrimenti si rischia pure di bruciare Coutinho.

In questo momento, non vedo avversari all’altezza del Milan in campionato e della coppia Barcellona-Chelsea in Champions. L’Inter di Benitez è una spanna sotto i cugini e tre spanne sotto catalani e inglesi.

[foto via Inter]
                                                                                                                                                              

lunedì 23 agosto 2010

Moratti spettacolo: “Meglio multietnici che comprare le partite”. Era ora, presidente!

È un po’ che a noi interisti rompono le scatole perché abbiamo preso a vincere, interrompendo quel simpatico ping pong fra Milan e Juve, che vincevano a turno gli scudetti, con qualche interruzione pubblicitaria in occasione del Giubileo: vedi scudetti di Roma e Lazio. “L’Inter vince solo in Italia”, dicevano. Poi è arrivata pure la Champions. Anzi una tripletta che le altre italiane se la scordano: coppa Italia, scudetto e Champions. Irripetibile. “Eh no, ma l’Inter è piena zeppa di stranieri, non ci rappresenta”: ecco l’altra puttanata per sminuire i successi del Biscione. La Nazionale non vince? La responsabilità è dell’Inter: non ha italiani.

A Massimo Moratti rimproveravo il suo eterno silenzio di fronte ai continui attacchi mediatici, per via di imperi della comunicazione avversi. La scorsa stagione c’era Mourinho che le cantava a tutti, ma mi sarebbe piaciuto un bel comunicato ufficiale sul sito dell’Inter (al contrario, ingessato come una guardia di confine bulgara): “Mi avete rotto i cosiddetti, con le vostre continue manifestazioni di prostituzione intellettuale”. Invece nulla, silenzio continuo e totale. A mio giudizio, un errore politico: è anche con la comunicazione che si diventa una grande squadra; se subisci sempre il pressing, finisce che certe partite - guardacaso - le giochi in nove con due espulsi; hai gli assistenti arbitrali che esultano se non vinci; ti squalificano i giocatori con la prova tv; e via discorrendo.

Ma pochi minuti fa, il Petroliere ha messo a segno la sua tripletta personale: coppa Italia, scudetto e Champions, come mai nessuno prima. La crisi del calcio italiano dipende dal fatto che l'Inter ha pochi italiani? Massimo Moratti: “Meglio essere multietnici che comprare le partite”. Sì, ti vogliamo così!
                                                                                                                                                               

domenica 1 agosto 2010

Inter-Manchester City 3-0: un Philippe Coutinho Correia da urlo. È un potenziale fenomeno

Mi interessa poco o nulla del punteggio di Inter-Manchester City (3-0). Men che meno della doppietta di Obinna, che per quanto mi riguarda non è un giocatore da Inter, giacché dà il meglio di sé quando la propria squadra è già in vantaggio. Me ne impippo pure di schemi, moduli tattici e condizione atletica della squadra. E non giudico Benitez da queste partitelle (a proposito, ci ho preso in pieno). Ma, qualche ora fa, ho visto giocare uno che mi ha calcisticamente emozionato: lui si chiama Philippe Coutinho Correia. Ossia Coutinho. Anche soprannominato Philippinho.

Il ragazzino neo18enne, nato a Rio de Janeiro il 12 giugno 1992, è un trequartista brasiliano, ex Vasco da Gama e - finché minorenne - titolare del Brasile under 17. Quando quel mostro sacro di Careca, ex attaccante del Napoli, l’ha paragonato a Zico (uno dei migliori di ogni epoca), ho pensato a un’esagerazione carioca, per simpatia verso l’allora 17enne Coutinho. Ma adesso che l’ho visto per un minutaggio sufficiente lontano dal Brasile, e dopo aver preso calcioni mica di ridere dai difensori del Manchester City, Philippinho mi ha flashato.

Zabaleta, difensore argentino del Manchester City, dev’essere ancora sotto choc: il cucciolino nerazzurro l’ha letteralmente tirato scemo. Ci sono volute le cattive maniere (in un’amichevole) e per giunta con la collaborazione di un Company in versione wrestling, per atterrarlo.

Coutinho ha i primi tre passi che ti fulminano: la mini progressione iniziale è atleticamente esaltante. I cambi di direzione sono fulminei. Mette in campo una personalità strabordante: te ne accorgi anche perché non protesta, non fa smorfie, sceneggiate, boccacce, falli di reazione; lui illumina il gioco in silenzio. E ha più volte rincorso l’avversario.

Mi ero già divertito a vederlo in allenamento ad Appiano, quando però l’agonismo era inevitabilmente spento. Col Manchester City s’è accesa la lampadina del genio, non c’è dubbio.

Il suo difetto principale? Non è a suo agio nei pressi della linea centrale del campo. Ama svariare dietro le punte, a ridosso dell’area di rigore. Un istinto tipico di chi ha il football nel sangue, e lo vive con la passione verdeoro. Coutinho non gioca, lui balla sul rettangolo con il samba nelle vene.

Alto 171 centimetri per 72 chilogrammi, viene considerato leggerino per i campi di calcio europei. Fesserie. Per quanto mi riguarda, può restare così magro per i prossimi 15 anni. Ha una complessione fisica particolarissima, che merita di non essere cambiata artificialmente. A differenza di alcuni colleghi (di altre squadre), spero che si tenga lontano da tentazioni farmacologiche utili solo a stupire con addominali scolpiti e bicipiti mastodontici. Si guardi i filmati del Pelé a 17 anni e a 30 anni: prima era magrissimo, poi appena appena più robusto. Eppure è diventato il secondo più grande, alle spalle (e distanziato di tre lunghezze) di Maradona. Oppure osservi la conformazione fisica di un atleta immenso come Eto’o: una gazzella cacciatrice.

Coutinho è un potenziale fenomeno, è un prodigio che può sbocciare da un momento all’altro. Il bambino do Brasil va giudicato quando dovrà giocare sotto stress, con l’ansia della prestazione, con San Siro sul collo, con un pareggio fuori casa che per le squadre più forti - come l’Inter - rappresentano un fallimento. Ne riparliamo ai primi incontri ufficiali. Nel frattempo, vivissimi complimenti a chi se l’è portato a casa per 3,8 milioni di euro.