domenica 8 marzo 2020

Collasso ospedaliero da coronavirus: la morte da dispnea nel letto di casa

Conoscete il dilemma dell’auto a guida autonoma? Il veicolo deve fare una scelta: individuare chi ammazzare. Un esempio. La vettura senza conducente si trova davanti a tre possibilità, senza via d’uscita. Uno: a sinistra investe e uccide sette anziani che passeggiano. Due: al centro, travolge un bimbo.Tre: a destra, spazza via due signore. Il cervello elettronico dell’auto elabora la strategia da sé, visto che l’uomo non è al volante. Qualcuno morirà, sulla scorta dell’algoritmo interno alla macchina robot. Analogo è il dilemma dell’ospedale. In Lombardia - che sostiene in modo decisivo il Prodotto interno lordo e che è all’avanguardia sotto il profilo delle strutture mediche in Italia e nel mondo (un’eccellenza indiscutibile e riconosciuta a livello internazionale) -, gli ospedali sono a un millimetro dal collasso. Troppi ammalati gravi di coronavirus. Pertanto, ogni singolo ospedale che supererà la soglia di tolleranza, dovrà necessariamente prendere una decisione. Far morire o Tizio o Caio. Tenendo fuori dall’ospedale o Tizio o Caio. Perché l’ospedale è sovraffollato, ed è già un miracolo se si riesce a curare uno fra Tizio e Caio.

Questo in Lombardia. Questo a Milano. Patria della sanità, da prendere a modello e da copiare. Il malato grave di coronavirus affetto da polmonite, se e quando gli ospedali arriveranno al collasso, potrebbe morire, stando alle previsioni degli esperti, soprattutto di dispnea. Cos’è? Tutti conoscono l’apnea: l'assenza di respirazione esterna o una pausa della respirazione superiore ai 15 secondi. Ma la dispnea è l’incubo che si materializza: una respirazione alterata per ritmo o frequenza; una respirazione che avviene con fatica. Il paziente soffre disperatamente perché non riesce a respirare. Un senso di soffocamento terribile.

Ecco perché i macchinari in Lombardia funzionano a pieno ritmo: in terapia intensiva, combattono la dispnea. Sono strumenti salvavita. Negli ospedali dove stanno lavorando angeli come medici, rianimatori, anestesisti, infermieri e tutto il personale, anche quello in pensione e richiamato (e, temo presto, pure gli specializzandi). Siamo nelle loro mani. Nella legittima speranza che l’epidemia venga lentamente arginata, e che il numero di malati gravi cali. Comunque, stando a una mia personale opinione, la Lombardia è così straordinariamente forte da essere pronta al peggio: potrà reagire utilizzando al massimo le strutture ospedaliere private e gli alberghi, così che si crei una virtuosa assistenza collettiva. Grazie all’energia vitale di tutti quelli che vivono e lavorano in Lombardia. Si fermeranno interi reparti tradizionali, si bloccheranno gli interventi chirurgici normali, per dare spazio al coronavirus. Si moltiplicheranno i posti di rianimazione, con gli intubati ovunque. Prima il paziente Covid-19 con polmoniti orribili, poi gli altri: è la parola d’ordine del triage.

Ma andiamo più giù in Italia. Scendiamo lì dove adesso frotte di viaggiatori in treno e con altri mezzi si dirigono verso Sud, scappando dalla Lombardia. L’auspicio è che non accada nulla. Immaginiamo però che il numero di malati salga. Ipotizziamo che, fra questi, ci siano uomini e donne anziani o con gravi patologie in corso. E che abbiamo bisogno di un ricovero urgente nelle strutture sanitarie per combattere tutti i sintomi, inclusa la dispnea. Che cosa mai potrebbe accadere se il sistema ospedaliero del Sud non dovesse reggere? Lo scenario non è così improbabile, visto che la sanità nella parte bassa dello Stivale non la si può certo considerare un’eccellenza a livello globale.

L’eventuale collasso del sistema sanitario meridionale avrebbe una conseguenza ben precisa. Saranno i medici a decidere chi deve vivere e chi morire. Seguendo un protocollo interno imposto dall’alto, con logiche ovvie: prima, si salva chi ha aspettative di vita maggiori. In altri termini, prima si salva il più giovane che non ha patologie pesanti; dopodiché, se c’è tempo e spazio, si fa sopravvivere il più vecchio con malattie gravi. Se per quest’ultimo non c’è posto in ospedale, allora muore a casa. È etica clinica: entra in gioco quando la necessità supera la disponibilità. Così, col collasso ospedaliero da coronavirus, si assisterà alla morte da dispnea nel letto di casa. Senza assistenza esterna.

Tutto questo si poteva e si doveva evitare. Ci sono persone preposte a questi compiti, con stipendi faraonici in epoca di recessione. Non l’hanno fatto. Dando disposizioni disomogenee, contraddittorie, confuse, disordinate nel tempo, nel modo, nei contenuti. Con selfie sbilenchi nel mentre si aggregano nei bar e abbracciano il prossimo all’insegna dell’inclusione, e con esternazioni tese a minimizzare e a sottovalutare il Covid-19. Così, i cittadini hanno perso ancora più fiducia nelle istituzioni, negli individui in cabina di pilotaggio. Il giorno in cui la strage del coronavirus sarà terminata, s’imporrà una riflessione sulla catena di comando nella democrazia parlamentare in Italia. Per preservare i princìpi della democrazia, messi in pericolo proprio da quegli uomini che dovrebbero invece esserne arcigni tutori.

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