sabato 31 ottobre 2009

Juve-Napoli 2-3: Istanbul bianconera


Avrebbe dovuto essere la partita della svolta, per la Juve. Quella che dava un segnale forte al campionato, ma soprattutto a quell’insopportabile Inter che stradomina da anni. E invece, Juve-Napoli si è rivelata una débâcle con pochi precedenti. La sconfitta dei bianconeri è l’Istanbul della Zebra: come peso specifico, equivale alla pazzesca vittoria del Liverpool sul Milan nel 2005, quando i rossoneri sciuparono un vantaggio di tre gol per poi perdere ai rigori. Tenete presente che la Juve aveva nel mirino Mourinho e Moratti: vittoria in casa con il Napoli, dura trasferta dell'Inter a Livorno e bianconeri pronti ad avvicinarsi e al sorpasso.

L’andamento dell’incontro è indimenticabile. Occasioni da una parte e dell’altra, poi al 35’ Grygera la mette in mezzo per Trezeguet, che brucia Campagnaro: papera enorme di De Sanctis (gli bastava fare un piccolo spostamento laterale per prendere la palla) e 1-0. Secondo tempo: al 9’ innocuo cross di Grosso dalla sinistra, Contini (Napoli) fa un assist clamoroso a Giovinco, che la angola magnificamente sul primo palo. Due regali del Ciuccio e 2-0. Tifosi bianconeri legittimamente in visibilio: l'Inter è a un millimetro.

Poi al 13’ entra l’argentino Datolo per Campagnaro: traversone, Hamsik sul secondo palo e 2-1. Al 19’, corner per il Napoli e Denis salta da solo: Buffon respinge come può, arriva Datolo e 2-2. L’argentino è un iradiddio, al 36’ fugge sulla sinistra e crossa, Tiago (Juve) la offre sui piedi di Hamsik, che di piattone la infila all’incrocio: 2-3. Lo slovacco ha la capacità di giocare in modo perfetto nei momenti decisivi: in una parola, è un fuoriclasse, ma di quelli puri.

Rimonta storica, che segna l'Istanbul della Juve. Una squadra che dal 2007 sembra entrata in crisi soprattutto dal punto di vista nervoso: appena pare che ne stia uscendo, ci ricasca. È un incubo. Ci fosse Ranieri, darebbero la colpa a lui. Ma sulla panca siede Ferrara, e allora si cercano responsabilità negli infortuni.

In quanto al Napoli, De Laurentiis ha fatto bene a tenersi due fenomeni: Lavezzi e Hamsik (leggi qui). Attorno a quella coppia eccezionale, può costruire un sogno che si chiama scudetto. A patto di investire nella difesa.

[foto via Napoli]

giovedì 29 ottobre 2009

Napoli-Milan 2-2: basta col gioco brasiliano di Leonardo!


È da agosto che i mass media ce la menano: il gioco di Leonardo sarà spettacolare, due tocchi e via. Il modello del Milan sarà il Brasile del 1982, tutto possesso di palla. Attacco, pressione, supremazia. Un’etichetta appiccicata addosso a Leonardo dai giornali e guai a chi gliela toglie. Specie dopo tre vittorie di fila (Roma, Real Madrid, Chievo).

Poi succede che il Milan vada a Napoli: io personalmente ho contato calci d’angolo in quantità industriale per i partenopei, con un possesso palla nettamente a favore della squadra di Mazzarri. Senza considerare i tiri in porta: nove a tre per il Ciuccio. Magari sbilenchi (Mazzarri non ha il potere di raddrizzare certi piedi), però segno che attaccava quattro volte di più il Napoli.

E allora: dov’è il gioco brasiliano di Leonardo? Dov’è lo spettacolo? Per carità, è intelligente che a Napoli, una volta in vantaggio di due gol, si faccia solo contropiede. Però chiamiamo le cose col loro nome: catenaccio. Sì, una squadra arroccata nella propria area di rigore, con i due centrali difensivi che non si schiodano da laddietro, più Ambrosini a fare lo stopper aggiunto. E via di ripartenze.

Perché non significa nulla schierare Pato, Inzaghi, Ronaldinho e Seedorf in contemporanea, se poi il loro baricentro è la propria trequarti.

Che guaio, le etichette. Se Roberto Mancini o Mourinho o Ferrara o Lippi o Trapattoni avessero giocato come Leonardo a Napoli, tutti avrebbero tirato fuori la storia dell’allenatore fondamentalmente catenacciaro. Ma se lo fa Leonardo, ci si ricorda solo del Brasile del 1982. Che, per la cronaca, buttò nel gabinetto un Mondiale da stravincere, proprio per il vizietto di volere attaccare sempre e comunque.

[foto via Napoli]

domenica 25 ottobre 2009

Le due autobombA di Repubblica o le due autobombE del Corriere? Io propendo per autobombE



Ecco uno dei dilemmi della lingua italiana: il plurale di autobombA. È una faccenda così rognosa che verrebbe quasi da cavarsela come Cochi e Renato qualche annetto fa; non sapendo il plurale di belga, usavano dire: “Un belga, anzi due”. Dunque, secondo una prima teoria, il plurale di autobombA è identico al singolare: questa è anche l’idea di Repubblica (vedi foto in alto).






Invece, in base a una seconda teoria, il plurale di autobombA è autobombE: vedi foto Corriere, su. Anch’io la penso così. Secondo me, non è indeclinabile.

Ah, per la cronaca, il plurale di belga è belgi. Una maledettisima eccezione alla regola, che vede il plurale di collega in colleghi.

giovedì 22 ottobre 2009

Real Madrid-Milan, caccia al refuso: non c'è solo il voluto "didastro"...


Ore 0.18 di giovedì. Gazzetta online. Qualche refusino dovuto alla fretta.

Nel sommario, "didastro" è voluto. Simpatico.

Ma in tutto abbiamo qualche altro allegro refusino, in neretto: Dida combina un "didastro" e lancia i blancos, poi la riscossa innescata da Pirlo e concretizzatata due volte da Pato. Il Milan ottine il massimo con pochi titi in porta, il real è solo un abbozzo di squadra.

In effetti, se si fanno pochi titi in porta, è difficile fare gol. Forse i giocatori del Real avevano in testa solo le tete della sera prima.

mercoledì 21 ottobre 2009

Milan in finale di Champions a Madrid: adesso mi credete?!

Il mio post del 18 settembre scorso era stato accolto con molto scetticismo. Ho ricevuto numerose mail in cui mi si diceva che il Milan non avrebbe neanche superato il primo turno di Champions. Ora, dopo il grande Milan visto a Madrid che ha sconfitto il Real 3-2, mi credete? Ecco perché i rossoneri possono davvero vincere la Champions.

A Natale, il Milan sarà a una dozzina di punti dalla vetta in classifica. Campionato chiuso prima di fine anno, per i rossoneri. Come conseguenza diretta dell'ennesima sciagurata stagione in Italia, i rossoneri potranno dedicarsi tranquillamente alla Champions. E qui possono fare il colpaccio: arrivare in finale a Madrid. Per quattro motivi.

1) Le altre grandi d'Europa, dal Barcellona al Manchester, si spremono per 70 partite l'anno, spalmate fra campionato nazionale, Champions, coppe interne. Nelle ultime stagioni, hanno rappresentato brillanti eccezioni Liverpool e Milan, che a un bel punto mollano nel proprio Paese per puntare alla finale di Champions.

2) L'unico vero attaccante del Milan si chiama Inzaghi. Che però, per questioni anagrafiche, non può disputare tutti i match della stagione: esplode ogni notte magica di Champions.

3) La rosa del Milan non potrebbe competere neppure con quella di una squadra di metà classifica in Italia; ma attenzione: gli undici titolari, con Seedorf anziché Ronaldinho, sono fortissimi.

4) I rossoneri giocano le partite di Champions senz'ansia. Hanno i mass media dalla loro: vanno in Francia, disputano una partita discreta contro una squadra senz'anima, e i giornali esaltano il Milan. Della serie: il Diavolo ha la coppa nel Dna e altre fesserie del genere. In realtà, una vittoria stiracchiata passa come un trionfo, come per magia. E questo ti lascia lavorare in santa pace.

Si badi bene. Il mio è un elogio al Milan (e al Liverpool), che ha vinto le due ultime Champions andando la prima volta così così in campionato e la seconda malissimo. L'Inter, tanto per fare un esempio, dovrebbe imparare dalla società di Berlusconi. I nerazzurri, invece, si spompano ogni tre giorni, con risultati europei deludenti. Dovrebbero fare come il Milan. Oppure avere uno squadrone come l'Inter di Herrera (1964-65) o il Milan di Capello (1993-94), che hanno portato a casa scudetto e coppa; ma non mi pare ci siano i presupposti.

martedì 20 ottobre 2009

Inter, vuoi vincere a Kiev? Devi rischiare di perdere in campionato

L’Inter non ha la rosa per competere su due fronti: scudetto e Champions. O si concentra per il quinto tricolore di seguito oppure ce la mette tutta per passare almeno il primo turno in Europa.

Lo dicono i fatti. Questa è la quarta stagione che l’Inter tenta l’accoppiata: Italia più coppa Campioni. Il problema è che arriva sempre vuota all’appuntamento di Champions. È scarica, dal punto di vista sia fisico sia mentale. Non è una grande squadra come l’Inter di Herrera o il Milan di Capello, le uniche due in grado di vincere in Italia e, contemporaneamente, in Europa, e di giocare alla grande tre volte la settimana.

Grosso modo, i titolari di Mourinho sono i soliti. Se si azzarda a pescare dalla panchina, gli capita fra le mani Suazo. Che sarebbe meglio lasciare in tribuna. O il brasiliano Mancini, che pare un ex giocatore.

L’Inter deve mettere da parte l’orgoglio, rinunciare a un po’ di punti in Italia, rischiare di perdere lo scudetto, e allora potrà concentrarsi in Europa. Altrimenti, si ritroverà le altre squadre, come la Dinamo Kiev, che corrono il doppio, arrivano prima sulla palla, sono più reattive ed esplosive.

Il prossimo appuntamento per l’Inter è mercoledì 4 novembre: Dinamo Kiev-Inter. Vuole vincere in Ucraina? Allora, in campionato, nella partita che precede la trasferta di Champions, deve giocare al 30% delle possibilità: Livorno-Inter. Spazio ai panchinari e alla primavera. Se no, ti ritrovi Lucio cotto, come stasera. Infortuni a valanga. Cambiasso affaticato.

Non è mica un peccato mortale comportarsi così. In parte, lo fece anche il Milan del secondo anno di Sacchi: vinto lo scudetto al primo colpo, la stagione seguente si dedicò quasi solo alla coppa Campioni, "allenandosi" in campionato: arrivò terzo. Eppure era mostruoso… Secondo voi, perché?

[foto via Dinamo]

sabato 17 ottobre 2009

Genoa-Inter 0-5: negli ultimi 30 anni, solo il primo Milan di Sacchi forte come i nerazzurri

L'Inter distrugge il Genoa 5-0 a Marassi. La partita di stasera è storica. Negli ultimi 30 anni, solo il primo Milan di Sacchi (1987-88) mi ha divertito così tanto e ha dimostrato di essere così superiore sull'avversario dal punto di vista tecnico, atletico, tattico. Un gioco caratterizzato da un pressing mostruoso. Peraltro, il possesso di palla, proprio come il Milan del primo Sacchi, non è stato continuo.

Non intendo paragonare quest'Inter al Milan del secondo Sacchi, che fu meno spettacolare del primo Arrigo, e vinse la coppa Campioni con un aiuto enorme della fortuna: vedi nebbia di Belgrado. Invece, il Milan del primo Sacchi mostrò una dozzina di partite a ritmi allucinanti: vedi le due goleade sul Napoli e il derby di ritorno, quando l'Inter non riuscì a superare la propria area di rigore.

Ho visto un'Inter sempre votata all'attacco, ad aggredire, a far male con ripartenze rapidissime. Grazie alla cinquina, va a quota 19 punti in classifica, quattro su Juventus e Fiorentina. Mourinho aspetta ora la Samp.

Eppure, l'Inter non aveva Eto'o, Milito e Thiago Motta. Così s'è dovuta mettere in campo con un 4-3-2-1. Attenzione: per il Genoa è la prima sconfitta casalinga dal 19 aprile.

I gol. Cambiasso al sesto in area tira verso Amelia su assist di Maicon: deviazione di Modesto e rete. Zanetti morde Zapater al 31', dà a Sneijder, da questi a Balotelli e raddoppio di classe purissima, tocco morbido nell'angolino. Al 49' Amelia rinvia: Stankovic al volo da centrocampo: 3-0 incredibile. Il 4-0 è di Vieira: bel sinistro su assist di Sneijder. Ancora Inter asfissiante e 5-0 di Maicon.

Opinione personale: il migliore in campo è stato, di gran lunga, Balotelli. Non scherziamo dando la palma del numero uno ad altri: Stankovic e Sneijder monumentali, ma SuperMario è di un altro pianeta. Gol, assist, dribbling. Lo hanno fermato a furia di calcioni e gomitate (involontarie). Il centravanti dell'Inter mi pareva Bolt (l'uomo più veloce della Terra). Con un piccolo dettaglio: correre a 30 km/h con la palla è tre volte più difficile che farlo in pista.

sabato 10 ottobre 2009

Casinò La Fenice di Milano: il Paradiso del giocatore d’azzardo

Da appassionato di gioco d’azzardo, ho messo il naso in un locale di recente apertura: il Casinò La Fenice di Milano, in via Ponte Seveso 40, a un passo dalla Stazione Centrale. Si tratta di 200 metri quadrati di divertimento puro: slot machine, poker room online, roulette elettroniche. E poi tv collegate a tutti gli avvenimenti sportivi del momento. Totalizzatori con le quote del pianeta sott’occhio. Insomma, uno spasso.

Tutto, chiaramente, nel pieno rispetto della legge, come tengono a sottolineare i due inventori della creatura: Igor Mascia, gestore nonché direttore di sala, e Max Tedesco, il cervello che da anni opera nel settore.

Si tratta di un American bar molto confortevole. L’ambiente è raffinato e mi piace che la sala per fumatori sia separata dal resto. Fra l’altro, è in arrivo un secondo spazio, di addirittura 330 metri quadrati.

È un posto da visitare. E a chi sostiene che il gioco d’azzardo sia il diavolo sulla Terra, rispondo che invece lo vorrei come materia da insegnare nelle scuole. Nel poker, per esempio, c’è tutto: matematica, abilità, statistica, fortuna, coraggio, intelligenza. Il gioco d’azzardo è lo specchio della vita.

A chi è contro l’azzardo si dovrebbe spiegare che l’esistenza stessa è un rischio. Perfino andare a fare la spesa è un azzardo, comprare un appartamento o un’auto, cambiare lavoro, fidanzarsi, sposarsi, fare sesso. La vita è un azzardo. Meglio giocarci un po’ su.

È indubbiamente vero che con la roulette o il poker si possono perdere (o vincere) un sacco di soldi. Ma chi diventa dipendente dal gioco e si rovina con l’azzardo, semplicemente accorcia un’agonia: si sarebbe distrutto da sé in altro modo, magari con l’alcol o la droga.

In basso, altre due foto del Casinò La Fenice che ho scattato al volo quattro ore fa.




venerdì 9 ottobre 2009

Vola vola vola l'ape Maia e causa il pasticcio doping Juve-Cannavaro: condannata!

L'ape Maia, grande birichina nota ai 40enni come me, vola e fa pasticci. Di tanto in tanto punge un giocatore di calcio e causa un guaio doping. Vedi Cannavaro, risultato positivo all’antidoping dopo aver chiesto l’esenzione per aver assunto un farmaco in condizioni di emergenza: appunto, per via dell'ape Maia.

Pare che gli enti italiani preposti a punire chi fa uso di doping intendano sanzionare severamente l'ape Maia, unica grande colpevole di tutto questo enorme casino. Ecco i provvedimenti.

1) Maia, una piccola ape dai capelli ricci e biondi, verrà rapata, proprio come Cannavaro.

2) Maia non verrà più affidata alle cure di un'ape adulta, Cassandra, ma di un serpente a sonagli. Così la smette di pungere gli atleti della Nazionale e di provocare scandali.

3) Maia me la ricordo molto curiosa. Basta: ogni volta che si allontanerà dall'alveare, la sua velocità verrà controllata da Tutor e autovelox, con sospensione della licenza di volo per qualsiasi infrazione rispetto ai limiti previsti.

4) Maia ama stare col migliore amico, Willi, un piccolo fuco? Fine della relazione. Per un mese, dovrà frequentare esclusivamente coccodrilli e manguste.

5) Maia non potrà più rivolgere la parola ai suoi insetti preferiti: la cavalletta Flip, il topo Alessandro (mio omonimo), lo scarafaggio Kurt, il ragno Tecla, il lombrico Max. Tutt'al più, avrà la possibilità di uscire di casa con Ciro Ferrara e Marcello Lippi. Concessa una passeggiata ogni tanto con Luciano Moggi.

domenica 4 ottobre 2009

Palermo-Juve 2-0. Fossi De Laurentiis, prenderei Zenga prima di farmelo portare via da Moratti!

Il Palermo ha una rosa molto meno competitiva di quella della Juve (e non dispone di fuoriclasse); eppure, Zenga ha battuto Ferrara 2-0. Perché?

1) Walter ha dato un gioco alla sua squadra, con verticalizzazioni improvvise e triangolazioni fulminee negli ultimi 20 metri. Ciro ha dato solo compattezza a difesa e centrocampo.

2) Zenga ha scelto un attacco che è un mix di fantasia, potenza e velocità. Ferrara punta tutto sull’atletismo: se c’è un minimo di calo fisico, addio pericolosità offensiva.

L’ex portierone della Nazionale è l’allenatore perfetto per il Napoli. Cui serve un motivatore, un uomo che in conferenza stampa sia brillante, una persona solare ma al contempo capace di fulminarti con uno sguardo. Se non basta quello, arriva l’urlo. Il Napoli ha bisogno di allegria, energia, carica emotiva, presenza fisica. Cioè Zenga. Al Napoli serve uscire da una strana forma di tristezza che soffoca i giocatori in campo.

E poi Walter ha fatto una gavetta che gli altri se la scordano. In giro per l’Europa. Grazie alla magia delle tv satellitari, mi sono divertito a seguirlo quando allenava il Naţional Bucarest nella stagione 2002-03. Quindi, lo scudetto con la Steaua Bucarest. Nella stagione 2005-06, alla Stella Rossa Belgrado, ancora lo scudetto (serbo). In casa era terribile, Walter: vinse, per la prima volta nel calcio serbo, tutte le partite casalinghe. Più la coppa nazionale.

Dopo la parentesi in Turchia al Gaziantepspor (dove ha allenato pessimi calciatori), via in Medio Oriente, negli Emirati Arabi Uniti, sulla panchina dell'Al-Ain, e finale della President Cup.

Nel settembre 2007, alla Dinamo Bucarest. E nel 2008 il Catania, con il miracolo salvezza. Nel campionato 2008-09, il prodigio: grande gioco a Catania.

Ora ha un contratto biennale con opzione per il terzo, con il Palermo. Chiaramente si dovrebbe fare i conti con Maurizio Zamparini, che reputo un presidente geniale; ma se io fossi De Laurentiis, preparerei un bel contrattino a Zenga. Prima che lo faccia Moratti. A mio giudizio, il candidato numero uno a sostituire Mourinho, quando questi un dì se ne andrà all’estero, è proprio Walter.

[foto via Palermo]

sabato 3 ottobre 2009

Inter-Udinese 2-1. Record: nel recupero, due rigori dubbi non dati in due minuti

È l'Inter dei record. No, non mi riferisco al numero di scudetti consecutivi, ma agli arbitri. Più esattamente, a Bergonzi di Inter-Udinese 2-1. Avrei voluto vedere cosa sarebbe successo se i due rigori dubbi non dati nel recupero fossero stati provocati dall'Inter ai danni dell'Udinese. Apriti cielo. E invece è accaduto l'inverso. Segno che, almeno per quanto riguarda gli arbitri, non è una stagione fortunata per l'Inter. Vedi, fra l'altro, la mancata espulsione di Gattuso per fallo da ultimo uomo su Eto'o in Milan-Inter 0-4.

Dopo gli splendidi gol di Stankovic e Di Natale nel primo tempo, nella ripresa Inter all'attacco che rischia grosso su contropiede: lo stesso Di Natale si divora la rete del vantaggio. Quindi, l'occasione di Eto'o su azione personale. Al 47° il pestone di Zapata su Balotelli: niente rigore. Al 48° spinta di Zapata ai danni di Balotelli: niente rigore. Non intendo andare oltre parlando di un fallo di mano di D'Agostino e di una trattenuta su Lucio: i rigori dubbi arriverebbero a quattro!

A 30 secondi dal fischio finale, ci ha pensato Sneijder. Ma senza l'olandese, di questi due rigori dubbi, così ravvicinati, non dati all'Inter si sarebbe parlato per molto tempo. Tutto sommato, che Sneijder abbia regalato un colpo da biliardo è stata una fortuna anzitutto per Bergonzi. Non trovate?

[foto via Inter]

venerdì 2 ottobre 2009

Cari rossoneri, non volete più Berlusconi? Senza il Cavaliere, il Milan sparisce dal calcio nel giro di cinque anni

Noto un profondo disappunto dei tifosi del Milan verso il proprietario, Berlusconi. Basta ascoltarli a San Siro o nei bar. Parlano di campagna acquisti e si inquietano, perché il Cavaliere s’è messo in mostra - più che altro - per la cessione di Kaká. Ce l’hanno con la dirigenza perché non investe più come prima. Insomma, Silvio non tira fuori i quattrini, e allora in tanti non lo vogliono più.

In un baleno, vengono buttati nel gabinetto 25 anni di Milan targato Berlusconi, assieme a scudetti e coppe. Invece, andrebbe fatta una riflessione. Anzitutto, i tifosi rossoneri che non vogliono più il Cavaliere dovrebbero tornare con la memoria agli anni Ottanta. Vi dice niente la parola Serie B? Ma sì, quella guadagnata a seguito dello scandalo del calcio scommesse. E la seconda retrocessione, nel 1981-82, quando i rossoneri misero insieme 24 punti in 30 partite?

Facciamo un passettino avanti. Stagione 1985-86. Ispezioni della Guardia di finanza: la società risultò fortemente indebitata e a un millimetro dal fallimento. Stava per morire. Fu lì che Berlusconi rilevò la squadra dal presidente Farina, il 20 febbraio 1986, e ripianò il deficit.

Lo so anch’io che Silvio fiutò l’affare. Capisco che il Milan gli servì come trampolino di lancio verso altre imprese economiche e soprattutto politiche. D’altronde, il Cavaliere non è un missionario pronto a fare beneficenza al prossimo: trattasi di un imprenditore, a caccia soprattutto di profitti. È una colpa?

Dal 1987, con Sacchi, il via ai trionfi, ripetuti con Capello e con altri allenatori. Berlusconi ha preso in mano un cadavere di nome Milan e l’ha reso uno squadrone. Senza di lui, i rossoneri rischiavano di precipitare di nuovo in B o peggio.

Ora si rincorrono le voci della cessione della società. Si parla di libici e arabi interessati ad almeno il 40% delle quote per poi papparsi tutto il Diavolo. Ma c’è chi vorrebbe consegnare il 100% del Milan a imprenditori danarosi con tanta voglia di spendere. Bella roba. Qui si rischia col fuoco. Bastassero gli euro a fare una grande squadra, tanti altri presidenti avrebbero vinto già scudetti in quantità.

Un’altra proprietà dovrebbe gestire uno staff enorme, fatta di dirigenti, allenatori, équipe medica, giocatori. Non è uno scherzetto. Da presidente, devi convincere 20enni che guadagnano tre milioni di euro l’anno e che sono circondati da ogni genere di tentazione (in primis donne a tutto spiano) a rincorrere in mutande un pallone che rotola. Devi indurli a prendere calcioni da energumeni sempre pronti a sostenere: “Cercavo la palla, gli ho preso la caviglia”. Devi sempre controllare che non ingrassino, che vadano a letto presto, che facciano vita da atleta. Devi impedire che litighino fra loro per via di differenze di trattamento economico. Devi controllare che non si scannino negli spogliatoi. Devi tenere a bada i procuratori, che spingono affinché il loro assistito sia titolare. Questo vale per qualsiasi squadra, di qualsiasi città.

Insomma, fare il presidente vuol dire gestire rogne quotidiane, in quantità industriali. E poi ci sono le pressioni dei media, le attese dei tifosi. Se appena appena sbagli nella scelta degli uomini chiave (allenatori, medici, preparatori, dirigenti), vai a picco. Garantito.

Ebbene, almeno Berlusconi e compagnia hanno alle spalle 25 anni di esperienza. Per un’altra proprietà, invece, sarebbe tutto nuovo. E ogni novità comporta un azzardo. Inizi e compri cantando, prosegui e paghi piangendo. Voglio vederli i possibili acquirenti della società, quando hanno a che fare con i calciatori e i loro procuratori. Sì, sì: non è mica come riunire in una stanza 10 dipendenti aziendali che guadagnano 1.000 euro al mese, e che sono subito pronti a ubbidire a ogni comando. Ti trovi davanti milionari viziatelli che, se vogliono, fanno crollare te e la società, perché tanto i soldi a fine mese arrivano lo stesso.

Temo fortemente che, con un’altra proprietà, il Milan sparisca dal calcio nel giro di cinque anni. Anche perché i “nuovi” dovrebbero sobbarcarsi un esborso iniziale così elevato da stroncare un elefante: quanti soldi occorrono per comprare il Milan, 1.000 milioni di euro bastano? Ho paura che, con una nuova proprietà, i rossoneri facciano prima un campionato di mezza classifica. Dopodiché, la serie B, l’abbandono degli sponsor e delle tv (niente più diritti televisivi pagati a caro prezzo), quindi un’altra retrocessione e poi la fine.

Date retta a me, tifosi del Milan. Tenetevi Berlusconi, che almeno, in questo momento, garantisce la permanenza della squadra su buoni livelli. Meglio farsi umiliare ogni anno dall’Inter e perdere 4-0 il derby e 1-0 con lo Zurigo, piuttosto che scomparire dal calcio. Per vincere gli scudetti, il Cavaliere ha dovuto ripianare di volta in volta i debiti, tirando fuori denaro fresco. Se per qualche anno non spende ma incassa, che nessuno si offenda.

In tanti vorrebbero un bel russo straricco, in stile Roman Abramovich. Che bello: pensate un po’ che se quel tizio si rompe le scatole e molla il Chelsea, la squadra inglese defunge. Mi fa ridere anche l’azionariato popolare da parte dei tifosi. Che dovrebbero mettersi insieme nominando un rappresentante legale e formalizzare l'offerta a Berlusconi. Dopodiché, servirebbe una figura di riferimento, un azionista di maggioranza, come succede per il Barcellona. Cretinate: non siamo mica in Spagna qui. In Italia, il cittadino medio non arriva alla terza settimana del mese; figuriamoci se ha tempo e voglia di pensare al calcio e al Milan.

[foto via Milan]