Funziona così. Un sito cosiddetto importante di un’ex testata che si presumeva autorevole spara la fake. Mille siti con gente terrorizzata che lavora sotto pressione per via di manager incompetenti copiano e incollano tutto. E il gioco è fatto: la fake elettrica è servita. Non faccio nomi e non linko nessuno per evitare pubblicità gratuita. Mi limito a evidenziare le sei fake elettriche che riguardano le colonnine di ricarica in Italia.
1) Sulla nostra rete autostradale ci sono 963 colonnine: fake.
In realtà, ci sono 963 punti di ricarica (fonte Motus-E). Mediamente, ogni colonnina ha due punti di ricarica. Risultato, ci sono 480 colonnine circa.
2) Fatto 100 il numero di punti, l’85% è di tipo veloce in corrente continua “più” il 62% che supera i 150 kW di potenza. Impossibile: fa 147% la somma.
In realtà, l’85% è di tipo veloce in corrente continua e il 62% supera i 150 kW di potenza, che è cosa molto diversa.
3) Il 41% delle autostrade ha infrastrutture per la ricarica. Falso.
In realtà, il 41% delle aree di servizio autostradali è dotato già di infrastrutture per la ricarica.
4) Ora Autostrade per l’Italia metterà altri punti ad alta potenza di ricarica (HPC) da almeno 300 kW. Che si sommano alle altre prese da oltre 300 kW. Idiozia.
In realtà, i nuovi bandi prevedono l’installazione di colonnine esclusivamente ad alta potenza di ricarica (HPC) da almeno 300 kW complessivi (fonte Aspi). Cioè, sono 150 kW per punto di ricarica. È molto diverso.
5) Nel complesso, in Italia ci sono 56.992 colonnine attive. No e no.
Due bufale in un colpo.
In realtà, anzitutto, ci sono 56.992 punti: grosso modo 28.000 colonnine.
Inoltre, esistono 56.992 punti installati. Il 17,9% dei punti installati è in attesa di collegamento e attivazione. Ossia è inattivo, non è nato, è lì per bellezza o per fare scena o per essere funzionale alle fake elettriche.
6) Grazie al Pnrr verranno installati a breve oltre 41.000 colonnine ad alta e altissima potenza da parte degli operatori della ricarica. No.
In realtà, anzitutto sono 41.000 punti (attorno a 20.000 colonnine). Poi non c’è nessuna installazione. Ci sono bandi pubblici. Se gli operatori rispondono, se questi hanno i requisiti, se mantengono le promesse anche in termini di potenza alta e altissima, se i punti vengono collegati e non restano lì per fare le belle statuine, allora forse ecco i nuovi punti. Il primo bando è stato un miserabile flop, per la cronaca.
A tutto questo, si dovrebbe aggiungere qualche dettaglio. Di quelli attivi, esistono pure punti di ricarica irraggiungibili, poco visibili, in luoghi del tutto inutili, senza continuità del conduttore di protezione, privi di funzione di controllo attiva, dismessi, vecchi, di difficile utilizzo se accanto c’è già un’auto in carica, inaccessibili a chi è meno agile.
Mezza parola sui “minimi ostacoli di natura burocratica” da risolvere per l’attivazione dei punti: pratiche fra venditori e distributori di energia, domande d’installazione, posa dei cavi, lavori di scavo e di impianto, allacciamento, autorizzazioni di competenza degli enti locali coinvolti in diverse sue funzioni tecniche e urbanistiche, autorizzazione delle soprintendenze per i vincoli paesaggistici e archeologici, lavori di fornitori di gas e luce che impediscono l’allacciamento, eventuale segnalazione certificata di inizio lavori, installazione eventuale di cabine supplementari (una di trasformazione e una di consegna).
Classe 1969, dal 1987 sono giornalista dell'auto: settore legale (attualità e inchieste)
lunedì 29 luglio 2024
Colonnine di ricarica in Italia: sei fake elettriche
Classe 1969, dal 1987 sono giornalista automotive
Rivoluzione pedaggi. Mia previsione: i privati scapperanno, autostrade gestite dallo Stato
Oggi il business dei pedaggi delle autostrade attira investitori privati italiani ed esteri, che hanno modo di fare profitti da capogiro. Ma le cose cambieranno in futuro, perché il Consiglio dei ministri ha approvato un disegno legge Concorrenza rivoluzionario per quanto riguarda le tariffe autostradali.
Attualmente infatti lo Stato è proprietario delle autostrade: le dà in gestione ai privati. Questi incassano i pedaggi; in cambio, fanno manutenzione. Meno incidenti e più soldi investiti dalle concessionarie private nelle infrastrutture, più alti i pedaggi. Lo dice ogni singola convenzione fra Stato e gestori.
Il disegno legge Concorrenza cambia tre cose.
1) Per le concessioni che scadranno dal 2025 verrà applicato un nuovo modello tariffario. Quale? Il prezzo del pedaggio sarà formato da tre elementi.
a) Tariffa e gestione di competenza della concessionaria.
b) Tariffa di costruzione di competenza della concessionaria.
c) Oneri integrativi di competenza dell’ente concedente, lo Stato: l’extragettito. Finalizzato a recuperare i finanziamenti pubblici concessi per la realizzazione del sistema infrastrutturale a pedaggio.
2) I proventi dell’extragettito saranno utilizzati per investimenti autostradali, compresa la messa in sicurezza della viabilità locale di adduzione, senza incrementare i pedaggi. Per la prima volta una parte dei pedaggi non entrerà nelle casse di grandi gruppi, ma andrà allo Stato. Tutto questo attraverso quattro mosse:
a) il controllo dei pedaggi per evitare rincari sregolati;
b) la promozione degli investimenti;
c) la ricerca della sostenibilità economica delle concessioni autostradali;
d) il potenziamento dei controlli da parte dello Stato sulla gestione delle concessioni.
Obiettivo, realizzare opere pubbliche e tenere sotto controllo le tariffe, facendo crescere la concorrenza tra gli operatori del settore.
3) Il nuovo modello prevede che le concessioni durino massimo 5 anni. Per quelle in essere, si manterranno le regole esistenti con scadenze tassative per la revisione del Piano economico finanziario. Inoltre, nei prossimi mesi verrà valutata la congruità dei maggiori costi per investimenti presentati dai concessionari.
Così, per i privati sarà molto più difficile generare profitti stellari. I margini scenderanno. Più controllo del proprietario (lo Stato) e meno quattrini per i gestori. Che cosa faranno le concessionarie? Una volta finita la convenzione, scapperanno, come loro diritto. Risultato: lo Stato, proprietario della rete autostradale, gestirà direttamente la stessa, senza darla ai privati.
Il disegno legge Concorrenza cambia tre cose.
1) Per le concessioni che scadranno dal 2025 verrà applicato un nuovo modello tariffario. Quale? Il prezzo del pedaggio sarà formato da tre elementi.
a) Tariffa e gestione di competenza della concessionaria.
b) Tariffa di costruzione di competenza della concessionaria.
c) Oneri integrativi di competenza dell’ente concedente, lo Stato: l’extragettito. Finalizzato a recuperare i finanziamenti pubblici concessi per la realizzazione del sistema infrastrutturale a pedaggio.
2) I proventi dell’extragettito saranno utilizzati per investimenti autostradali, compresa la messa in sicurezza della viabilità locale di adduzione, senza incrementare i pedaggi. Per la prima volta una parte dei pedaggi non entrerà nelle casse di grandi gruppi, ma andrà allo Stato. Tutto questo attraverso quattro mosse:
a) il controllo dei pedaggi per evitare rincari sregolati;
b) la promozione degli investimenti;
c) la ricerca della sostenibilità economica delle concessioni autostradali;
d) il potenziamento dei controlli da parte dello Stato sulla gestione delle concessioni.
Obiettivo, realizzare opere pubbliche e tenere sotto controllo le tariffe, facendo crescere la concorrenza tra gli operatori del settore.
3) Il nuovo modello prevede che le concessioni durino massimo 5 anni. Per quelle in essere, si manterranno le regole esistenti con scadenze tassative per la revisione del Piano economico finanziario. Inoltre, nei prossimi mesi verrà valutata la congruità dei maggiori costi per investimenti presentati dai concessionari.
Così, per i privati sarà molto più difficile generare profitti stellari. I margini scenderanno. Più controllo del proprietario (lo Stato) e meno quattrini per i gestori. Che cosa faranno le concessionarie? Una volta finita la convenzione, scapperanno, come loro diritto. Risultato: lo Stato, proprietario della rete autostradale, gestirà direttamente la stessa, senza darla ai privati.
Classe 1969, dal 1987 sono giornalista automotive
mercoledì 5 giugno 2024
Multa per guida in forte stato d’ubriachezza senza alcoltest: davvero questo ti scandalizza?
Sta sollevando polemiche la sentenza 20763/2024 della Cassazione, quarta sezione penale, del 29 febbraio e resa nota il 27 maggio. Web e social in fiamme: “Da adesso Polizia e Carabinieri possono multare anche solo in base ai sintomi. Questo non si fa, questo non si dice, è maleducazione, siamo scandalizzati, è una dittatura. Quelle cattivone delle Forze dell’ordine hanno sanzionato un guidatore solo per quale sintomo, a simpatia. Come se fossero medici”. Davvero le cose stanno in questo modo?
Il caso risale al 12 settembre 2018 quando un uomo provoca un incidente. Le Forze dell’ordine lo sanzionano con la pena più grave, come se l’etilometro avesse rilevato un tasso alcolemico superiore a 1,5 grammi di alcol per litro di sangue (articolo 186 del Codice della strada): multa per forte stato d’ubriachezza, considerando che il limite è di mezzo grammo. Gli stessi operatori rilevano sintomi quali stato confusionale (testimoniato anche dagli urti dell’auto contro il cordolo del marciapiede), mancata risposta alle sollecitazioni degli operanti, condizione comatosa, presenza di un forte odore di alcol (articolo 379 del Regolamento di attuazione del Codice della strada). Sono regole esistenti da un’eternità, non c’è nessuna novità, la notizia non esiste, la Cassazione non ha fissato proprio nessun principio.
In seguito all’incidente, il referto ospedaliero parla di 3,69 grammi di alcol per litro di sangue, ossia oltre sette volte la soglia ammessa dal Codice della strada. Peraltro rilevati a distanza di chissà quanto tempo dal sinistro: se ne desume che al momento dell’incidente il livello potesse essere ancora più alto, perché nel frattempo l’organismo ha assorbito l’alcol. Trattavasi di ubriaco fradicio, una sorta di mina vagante pronta a esplodere in faccia ad altri automobilisti. Ma anche agli utenti vulnerabili, come chi va in moto, in bici, su monopattino elettrico, a piedi.
La Cassazione non lo dice in modo esplicito, lasciandolo intendere (le sentenze degli ermellini non sono testi scolastici per i bambini): è molto probabile che il tizio, dopo aver causato l’incidente (con feriti? non si sa), abbia rifiutato l’alcoltest. Pertanto abbiamo un ubriaco fradicio (quasi quattro grammi di alcol per litro di sangue, da esame scientifico di laboratorio) che ha provocato un sinistro, e detto no all’etilometro. Di qui la multa in base all’articolo 186 del Codice della strada che esiste dal 1992, comma 7: “Salvo che il fatto costituisca più grave reato, in caso di rifiuto dell'accertamento di cui ai commi 3, 4 o 5, il conducente è punito con le pene di cui al comma 2, lettera c)”. La Cassazione non ha inventato nessuna legge, non c’è nessuna notizia, non c’è nessuno Stato di Polizia: è così dal 1992. Fanno tuttavia presa sulla massa articoli e video nei social in cui si dice: ora la Cassazione ha inventato una legge tale per cui, se per Polizia o Carabinieri un guidatore ha i sintomi di chi ha bevuto, allora scatta la multa. Bufale, fake news affascinanti: melma diffusa nel web.
Davvero vi scandalizza una multa a un signore alla guida in condizione comatosa con 3,69 grammi di alcol per litro di sangue, presenza di alito vinoso, equilibrio precario, difficoltà di espressione? Quali princìpi etici e morali calpesta quella multa? Che cosa inquieta le vostre notti causando incubi?
Il caso risale al 12 settembre 2018 quando un uomo provoca un incidente. Le Forze dell’ordine lo sanzionano con la pena più grave, come se l’etilometro avesse rilevato un tasso alcolemico superiore a 1,5 grammi di alcol per litro di sangue (articolo 186 del Codice della strada): multa per forte stato d’ubriachezza, considerando che il limite è di mezzo grammo. Gli stessi operatori rilevano sintomi quali stato confusionale (testimoniato anche dagli urti dell’auto contro il cordolo del marciapiede), mancata risposta alle sollecitazioni degli operanti, condizione comatosa, presenza di un forte odore di alcol (articolo 379 del Regolamento di attuazione del Codice della strada). Sono regole esistenti da un’eternità, non c’è nessuna novità, la notizia non esiste, la Cassazione non ha fissato proprio nessun principio.
In seguito all’incidente, il referto ospedaliero parla di 3,69 grammi di alcol per litro di sangue, ossia oltre sette volte la soglia ammessa dal Codice della strada. Peraltro rilevati a distanza di chissà quanto tempo dal sinistro: se ne desume che al momento dell’incidente il livello potesse essere ancora più alto, perché nel frattempo l’organismo ha assorbito l’alcol. Trattavasi di ubriaco fradicio, una sorta di mina vagante pronta a esplodere in faccia ad altri automobilisti. Ma anche agli utenti vulnerabili, come chi va in moto, in bici, su monopattino elettrico, a piedi.
La Cassazione non lo dice in modo esplicito, lasciandolo intendere (le sentenze degli ermellini non sono testi scolastici per i bambini): è molto probabile che il tizio, dopo aver causato l’incidente (con feriti? non si sa), abbia rifiutato l’alcoltest. Pertanto abbiamo un ubriaco fradicio (quasi quattro grammi di alcol per litro di sangue, da esame scientifico di laboratorio) che ha provocato un sinistro, e detto no all’etilometro. Di qui la multa in base all’articolo 186 del Codice della strada che esiste dal 1992, comma 7: “Salvo che il fatto costituisca più grave reato, in caso di rifiuto dell'accertamento di cui ai commi 3, 4 o 5, il conducente è punito con le pene di cui al comma 2, lettera c)”. La Cassazione non ha inventato nessuna legge, non c’è nessuna notizia, non c’è nessuno Stato di Polizia: è così dal 1992. Fanno tuttavia presa sulla massa articoli e video nei social in cui si dice: ora la Cassazione ha inventato una legge tale per cui, se per Polizia o Carabinieri un guidatore ha i sintomi di chi ha bevuto, allora scatta la multa. Bufale, fake news affascinanti: melma diffusa nel web.
Davvero vi scandalizza una multa a un signore alla guida in condizione comatosa con 3,69 grammi di alcol per litro di sangue, presenza di alito vinoso, equilibrio precario, difficoltà di espressione? Quali princìpi etici e morali calpesta quella multa? Che cosa inquieta le vostre notti causando incubi?
Classe 1969, dal 1987 sono giornalista automotive
venerdì 26 aprile 2024
Auto elettrica: così dopano i dati di vendita globali
I furbetti dell’auto elettrica sono scatenati.
Vi dicono: nel 2023, nel mondo, sono state vendute 14,2 milioni di auto elettriche. Un boom, con un +35% sul 2022.
Qual è il trucco per alterare i numeri?
Prendono un dato vero di una società seria di ricerche (EV Volumes), estranea ai magheggi mediatici: 10 milioni di auto elettriche vendute. Aggiungono un dato vero della stessa società: 4,2 milioni di ibride plug-in. Sommano i due dati veri per creare il dato falso: 14,2 milioni di auto elettriche.
Le ibride plug-in, come noto, tutto sono fuorché elettriche. Se fossero tali, si chiamerebbero elettriche. Invece si chiamano ibride plug-in perché composte da un motore a benzina (orrore) e da una grande batteria che si ricarica collegandola a una fonte esterna: vetture alla spina come le elettriche, ma non elettriche.
Il trucco riesce bene? Sì, la platea applaude. Basti vedere il numero di copiaincollatori folli che, dietro spinta di manager inadeguati, appiccicano la pseudo notizia nei siti web e nei social.
A chi fa comodo il dato alterato? Ci sono lobby che mettono in campo l’artiglieria pesante pur di fare il lavaggio del cervello in fatto di auto elettrica.
Se non credete a me, allora crederete al grafico che metto a corredo del mio scritto. Fonte EV Volumes. Mi permetto di agevolare la vostra lettura facendo da legenda vivente: in verde le elettriche, in azzurro le ibride plug-in. Balza all’occhio un unico vero boom: delle ibride plug-in.
Per completezza, il link qui.
Qualora qualcuno fosse ancora scettico, un’altra fonte, corretta: Iea. Dice: “Almost 14 million new electric cars were registered globally in 2023”. Col rimando alla nota 1: “Throughout this report, unless otherwise specified, ‘electric cars’ refers to both battery electric and plug-in hybrid cars, and ‘electric vehicles’ (EVs) refers to battery electric (BEV) and plug-in hybrid (PHEV) vehicles”. Ve la faccio breve: auto elettriche = elettriche + ibride plug-in. Da qui, le previsioni su quante elettriche verranno vendute in futuro, con una serie di straboom sconfinati. Ve le risparmio: se la base di partenza è un mix con le ibride plug-in, questa inficia il risultato.
Classe 1969, dal 1987 sono giornalista automotive
giovedì 18 aprile 2024
Bufala: a Parigi la bici batte l’auto
Va fortissima la fake news in salsa francese: a Parigi la bici batte l’auto. Il titolo è a effetto, acchiappa. Ma la realtà è molto diversa. Dieci osservazioni per voi.
1) L’11,2% dei trasporti effettuati dai residenti in pieno centro a Parigi avviene in bici, rispetto al 4,3% in auto. In pieno centro. Che non è proprio un paesello di mille anime. In tutta la città metropolitana, abbiamo 12 milioni di abitanti. In pieno centro, 2 milioni. Pertanto, l’indagine (commissionata dall’Istituto Paris Region) riguarda una porzione minuscola di Parigi.
2) Anche a Milano, in via Dante, i pedoni e le bici e i monopattini elettrici surclassano l’auto. Perché in via Dante l’auto non può circolare, per legge. Nel centro di Parigi, ci sono mille tagliole di ogni genere anti auto e anti Suv: chiara la ripercussione.
3) Nelle aree limitrofe al pieno centro di Parigi, il 18,9% degli spostamenti avviene in bici rispetto al 6,6% in auto. Ma guarda, più ti allontani dal centro, meno si usa la bici. E perché? Sono meno verdi? Sono ottusi? Amano inquinare e fare rumore?
4) In pieno centro, a Parigi, hai metro e autobus, bici condivise, negozi in quantità: certo che qualche giretto in bici lo puoi fare.
5) L’indagine è stata condotta tra ottobre 2022 e aprile 2023 su un campione di 3.337 francofoni dai 16 agli 80 anni. Chissà perché per gli under 16 e gli over 80 non c’è spazio nel report. Ipotesi a): è gente che deve stare a casa a dormire o in lockdown. Ipotesi b): questi non hanno il diritto di muoversi. Come per magia, qualora si includessero under 16 e over 80, le percentuali cambierebbero. È come se io facessi un’indagine sul volume della musica nelle discoteche e nei pub interpellando solo ragazzi fra i 16 e i 25 anni…
6) La durata media dello spostamento in bici sui 7 giorni monitorati è di 24 minuti. Andando pianino e rispettando le precedenze, si presume, visto che non parliamo di ciclisti professionisti dopati durante qualche gara. Dunque, 24 minuti. Viaggetti mini fra le vie del pieno centro, niente di più.
7) “Presumiamo che dietro questi indicatori macroscopici si celi una realtà più complessa (orari fluttuanti, luoghi di lavoro variabili e multimodalità settimanale) in un contesto di telelavoro standardizzato, flessibilità lavorativa e uso intensivo di strumenti digitali. È previsto un approfondimento su questa mobilità atipica”. Così dice lo studio. Insomma, parecchio smart working, e sul sellino di tanto in tanto.
8) “L’auto è il mezzo motorizzato primario utilizzato in tutta la regione, con una forte preponderanza nelle periferie esterne, in correlazione con gli stili di vita e il minor servizio di trasporto pubblico in queste aree. Troviamo il tasso di occupazione dei veicoli pari a 1,04 persone per il motivo casa-lavoro”. Lo evidenzia il report. Vince l’auto.
9) Chi dice che la bici batte l’auto a Parigi non ha mai messo il naso fuori dal suo cortiletto green, mentre ammira un nullafacente che viaggia sul monopattino elettrico col gelato in mano. È tuttavia suo diritto quello di inforcare la bici per recarsi da un lato all’altro della città metropolitana francese, e ritorno. Buona pedalata.
10) Tutto nella fonte primaria: qui.
1) L’11,2% dei trasporti effettuati dai residenti in pieno centro a Parigi avviene in bici, rispetto al 4,3% in auto. In pieno centro. Che non è proprio un paesello di mille anime. In tutta la città metropolitana, abbiamo 12 milioni di abitanti. In pieno centro, 2 milioni. Pertanto, l’indagine (commissionata dall’Istituto Paris Region) riguarda una porzione minuscola di Parigi.
2) Anche a Milano, in via Dante, i pedoni e le bici e i monopattini elettrici surclassano l’auto. Perché in via Dante l’auto non può circolare, per legge. Nel centro di Parigi, ci sono mille tagliole di ogni genere anti auto e anti Suv: chiara la ripercussione.
3) Nelle aree limitrofe al pieno centro di Parigi, il 18,9% degli spostamenti avviene in bici rispetto al 6,6% in auto. Ma guarda, più ti allontani dal centro, meno si usa la bici. E perché? Sono meno verdi? Sono ottusi? Amano inquinare e fare rumore?
4) In pieno centro, a Parigi, hai metro e autobus, bici condivise, negozi in quantità: certo che qualche giretto in bici lo puoi fare.
5) L’indagine è stata condotta tra ottobre 2022 e aprile 2023 su un campione di 3.337 francofoni dai 16 agli 80 anni. Chissà perché per gli under 16 e gli over 80 non c’è spazio nel report. Ipotesi a): è gente che deve stare a casa a dormire o in lockdown. Ipotesi b): questi non hanno il diritto di muoversi. Come per magia, qualora si includessero under 16 e over 80, le percentuali cambierebbero. È come se io facessi un’indagine sul volume della musica nelle discoteche e nei pub interpellando solo ragazzi fra i 16 e i 25 anni…
6) La durata media dello spostamento in bici sui 7 giorni monitorati è di 24 minuti. Andando pianino e rispettando le precedenze, si presume, visto che non parliamo di ciclisti professionisti dopati durante qualche gara. Dunque, 24 minuti. Viaggetti mini fra le vie del pieno centro, niente di più.
7) “Presumiamo che dietro questi indicatori macroscopici si celi una realtà più complessa (orari fluttuanti, luoghi di lavoro variabili e multimodalità settimanale) in un contesto di telelavoro standardizzato, flessibilità lavorativa e uso intensivo di strumenti digitali. È previsto un approfondimento su questa mobilità atipica”. Così dice lo studio. Insomma, parecchio smart working, e sul sellino di tanto in tanto.
8) “L’auto è il mezzo motorizzato primario utilizzato in tutta la regione, con una forte preponderanza nelle periferie esterne, in correlazione con gli stili di vita e il minor servizio di trasporto pubblico in queste aree. Troviamo il tasso di occupazione dei veicoli pari a 1,04 persone per il motivo casa-lavoro”. Lo evidenzia il report. Vince l’auto.
9) Chi dice che la bici batte l’auto a Parigi non ha mai messo il naso fuori dal suo cortiletto green, mentre ammira un nullafacente che viaggia sul monopattino elettrico col gelato in mano. È tuttavia suo diritto quello di inforcare la bici per recarsi da un lato all’altro della città metropolitana francese, e ritorno. Buona pedalata.
10) Tutto nella fonte primaria: qui.
Classe 1969, dal 1987 sono giornalista automotive
giovedì 28 marzo 2024
La bufala del nuovo Codice della strada 2024: Internet più lercio che mai
Internet più lercio che mai in queste ore. Per catturare lettori in modo fraudolento, molti siti sparano titoli del tipo: ecco il nuovo Codice della strada 2024, cosa dice la nuova legge, le novità eccetera.
Sono idiozie. Non c’è nessuna legge. Non c’è nessun nuovo Codice della strada.
Come stanno le cose?
La Camera ha detto sì al disegno legge del nuovo Codice della strada. Adesso, la palla è passata al Senato. Due possibilità.
1) Se il Senato dice sì, allora il nuovo Codice della strada è legge.
2) Se il Senato modifica qualcosa del disegno legge, allora tutto torna alla Camera. Con l’ok della Camera che slitta chissà a quando: magari a giugno 2024.
Interessante la visione della democrazia di parecchi siti online. A parole, la difendono a spada tratta. Poi però quando c’è da educare il lettore, la calpestano: di colpo, il Senato non esiste più, così come i due rami del Parlamento.
Sono idiozie. Non c’è nessuna legge. Non c’è nessun nuovo Codice della strada.
Come stanno le cose?
La Camera ha detto sì al disegno legge del nuovo Codice della strada. Adesso, la palla è passata al Senato. Due possibilità.
1) Se il Senato dice sì, allora il nuovo Codice della strada è legge.
2) Se il Senato modifica qualcosa del disegno legge, allora tutto torna alla Camera. Con l’ok della Camera che slitta chissà a quando: magari a giugno 2024.
Interessante la visione della democrazia di parecchi siti online. A parole, la difendono a spada tratta. Poi però quando c’è da educare il lettore, la calpestano: di colpo, il Senato non esiste più, così come i due rami del Parlamento.
Classe 1969, dal 1987 sono giornalista automotive
mercoledì 28 febbraio 2024
Utente vulnerabile chi va in scooter, in moto o su ciclomotore: protezione anti voragini stradali
Finalmente arriverà una tutela maggiore per chi va in scooter, in moto o su ciclomotore.
Oggi, all’articolo 3 del Codice della strada, comma 53-bis, c’è una definizione monca di utente vulnerabile della strada: pedoni, persone con disabilità, ciclisti e tutti coloro i quali meritino una tutela particolare dai pericoli derivanti dalla circolazione sulle strade.
Il disegno legge di riforma del Codice della strada aggiungerà qualche parolina magica, che rende la nazione più civile: conducenti di ciclomotori e motocicli. Al di là del gergo tecnico da guardia di confine bulgara, parliamo di motorini (cinquantini), moto e scooter.
Con le città che hanno strade da Quarto Mondo, piene di voragini assassine, una protezione giuridica superiore per i centauri di qualunque genere è sacrosanta.
Fra le varie conseguenze pratiche, una su tutte: i Comuni dovranno impiegare i proventi delle multe stradali anche per migliorare la sicurezza di chi viaggia in scooter, in moto o su ciclomotore. Che poi urga un controllo molto più forte su come le amministrazioni locali utilizzino quei denari, trattasi di un altro problema. Un passo per volta.
Oggi, all’articolo 3 del Codice della strada, comma 53-bis, c’è una definizione monca di utente vulnerabile della strada: pedoni, persone con disabilità, ciclisti e tutti coloro i quali meritino una tutela particolare dai pericoli derivanti dalla circolazione sulle strade.
Il disegno legge di riforma del Codice della strada aggiungerà qualche parolina magica, che rende la nazione più civile: conducenti di ciclomotori e motocicli. Al di là del gergo tecnico da guardia di confine bulgara, parliamo di motorini (cinquantini), moto e scooter.
Con le città che hanno strade da Quarto Mondo, piene di voragini assassine, una protezione giuridica superiore per i centauri di qualunque genere è sacrosanta.
Fra le varie conseguenze pratiche, una su tutte: i Comuni dovranno impiegare i proventi delle multe stradali anche per migliorare la sicurezza di chi viaggia in scooter, in moto o su ciclomotore. Che poi urga un controllo molto più forte su come le amministrazioni locali utilizzino quei denari, trattasi di un altro problema. Un passo per volta.
Classe 1969, dal 1987 sono giornalista automotive
giovedì 22 febbraio 2024
Unascabile: promuovere l’inclusione sociale e la mobilità delle persone con disabilità nel settore auto
Protocollo d’intesa tra Unasca (l'associazione delle autoscuole) e Fish (Federazione italiana per il superamento dell'handicap): obiettivo, promuovere l’inclusione sociale e la mobilità delle persone con disabilità nel settore auto. Cinque i punti chiave: la formazione specifica per gli studi di consulenza automobilistica e le autoscuole, l'istituzione di tavoli tecnici per influenzare la legislazione, il supporto all'ottenimento della patente di guida, la formazione su tematiche fiscali e partnership commerciali per offrire vantaggi alle persone con disabilità.
“Informare e formare rispetto alle nuove opportunità che possono contribuire a migliorare la qualità della vita di ogni persona e a facilitarla è importante, così come è fondamentale rafforzare la collaborazione a tutti i livelli per poter dare risposte sempre più puntuali ai bisogni delle persone e delle loro famiglie”, ha detto il ministro per le Disabilità, Alessandra Locatelli. Mentre il vicesegretario nazionale Unasca, Francesco Osquino, punta a “misure concrete che riguardino le pratiche amministrative e il conseguimento della patente per favorire l’accessibilità e l’autonomia delle persone con disabilità”. Da parte sua, il presidente di Fish, Vincenzo Falabella, ha ricordato come “la mobilità consente alle persone con disabilità di essere cittadini di una comunità di appartenenza. Con questo accordo andremo a garantire inclusione sociale e pari opportunità per chi oggi vive nel nostro paese con una condizione di disabilità”.
Classe 1969, dal 1987 sono giornalista automotive
martedì 20 febbraio 2024
Meno incidenti mortali con le zone 30 a Bologna? Una tendenza in atto dal 2001 col limite di 50 km/h
Nessuna sorpresa a Bologna: come ampiamente previsto, nelle prime quattro settimane di Città 30 (dal 15 gennaio all’11 febbraio 2024) si registra una calo degli incidenti rispetto al periodo dal 16 gennaio al 12 febbraio 2023. Per dimostrare la bontà del proprio provvedimento, il Comune snocciola i dati della Polizia locale, secondo cui i nuovi limiti di 30 km/h al posto dei vecchi 50 km/h hanno comportato un calo del 15,8% dei sinistri (186), e soprattutto due morti in meno (uno quest’anno). Merito dei 30 all’ora? Impossibile a dirsi, stando agli esperti di sicurezza stradale: giudicare, dopo solo un mese, i risultati del giro di vite non è statisticamente corretto. Opportuno invece ragionare su grandi numeri con un orizzonte temporale ampio.
Facciamo un salto indietro. Francesco Ramella, direttore esecutivo di Bridges Research (istituto di ricerca sulle politiche dei trasporti), predica cautela, analizzando le vittime, che includono tutti gli utenti, dagli automobilisti ai motociclisti, passando per chi va su monopattino elettrico e in bici, sino ai pedoni: “Nel 2003, a Bologna sono morte 46 persone in incidenti stradali, arrivando a 19 nel 2019, quando ancora vigeva ovunque il limite di 50 km/h. Fino ai 22 decessi del 2022. Il biennio 2020-2021 non è granché significativo per il calo della circolazione dovuto alla pandemia, e sarebbe scorretto verso il Comune prenderlo in esame. La tendenza a un forte calo della mortalità era pertanto già in atto da 20 anni, grazie anche a un costante miglioramento delle dotazioni tecnologiche di sicurezza del parco auto, seppure vetusto”. Insomma, nessun miracolo improvviso con le zone 30. Un trend verso il basso che rispecchia quello a livello nazionale: in Italia, nel 2001 si registrarono 7.096 vittime, contro le 3.159 del 2022. Comunque numeri tuttora brutti e allarmanti.
Un’obiezione possibile è che le zone 30 potrebbero accelerare la riduzione dei decessi sull’asfalto. “Ci si possono aspettare, come indicato dall'analisi del Comune, limitati benefici in termini di riduzione del numero di feriti e incidenti”, sostiene Ramella: “Tuttavia, andranno anche valutate le ripercussioni negative, come una maggiore lentezza degli spostamenti e un calo delle attività produttive. Non ogni provvedimento in favore della sicurezza può essere ritenuto auspicabile: altrimenti, lo scenario ideale sarebbe quello con zero mobilità per qualsiasi modo di trasporto con ricadute disastrose sul benessere delle persone”.
Chiosa sulla crociata pro micromobilità. Bologna (come Milano e altri Comuni) spinge a favore di un maggior utilizzo di bici e monopattini elettrici, a discapito delle auto. Va di moda infatti l’equazione ideologica “più bici e meno vetture uguale crollo degli incidenti fra i ciclisti”. La realtà è diversa, come racconta il caso dei Paesi Bassi, regno delle due ruote. Ramella evidenzia che, “mentre il numero di morti tra coloro che si spostano in macchina si è ridotto tra il 1996 e il 2022 da 609 a 205, le vittime tra i ciclisti risultano in aumento nell’ultimo decennio e nel 2022 sono risultate pari a 291 (di cui 141 causate da incidenti con auto), il valore più alto del periodo”.
Facciamo un salto indietro. Francesco Ramella, direttore esecutivo di Bridges Research (istituto di ricerca sulle politiche dei trasporti), predica cautela, analizzando le vittime, che includono tutti gli utenti, dagli automobilisti ai motociclisti, passando per chi va su monopattino elettrico e in bici, sino ai pedoni: “Nel 2003, a Bologna sono morte 46 persone in incidenti stradali, arrivando a 19 nel 2019, quando ancora vigeva ovunque il limite di 50 km/h. Fino ai 22 decessi del 2022. Il biennio 2020-2021 non è granché significativo per il calo della circolazione dovuto alla pandemia, e sarebbe scorretto verso il Comune prenderlo in esame. La tendenza a un forte calo della mortalità era pertanto già in atto da 20 anni, grazie anche a un costante miglioramento delle dotazioni tecnologiche di sicurezza del parco auto, seppure vetusto”. Insomma, nessun miracolo improvviso con le zone 30. Un trend verso il basso che rispecchia quello a livello nazionale: in Italia, nel 2001 si registrarono 7.096 vittime, contro le 3.159 del 2022. Comunque numeri tuttora brutti e allarmanti.
Un’obiezione possibile è che le zone 30 potrebbero accelerare la riduzione dei decessi sull’asfalto. “Ci si possono aspettare, come indicato dall'analisi del Comune, limitati benefici in termini di riduzione del numero di feriti e incidenti”, sostiene Ramella: “Tuttavia, andranno anche valutate le ripercussioni negative, come una maggiore lentezza degli spostamenti e un calo delle attività produttive. Non ogni provvedimento in favore della sicurezza può essere ritenuto auspicabile: altrimenti, lo scenario ideale sarebbe quello con zero mobilità per qualsiasi modo di trasporto con ricadute disastrose sul benessere delle persone”.
Chiosa sulla crociata pro micromobilità. Bologna (come Milano e altri Comuni) spinge a favore di un maggior utilizzo di bici e monopattini elettrici, a discapito delle auto. Va di moda infatti l’equazione ideologica “più bici e meno vetture uguale crollo degli incidenti fra i ciclisti”. La realtà è diversa, come racconta il caso dei Paesi Bassi, regno delle due ruote. Ramella evidenzia che, “mentre il numero di morti tra coloro che si spostano in macchina si è ridotto tra il 1996 e il 2022 da 609 a 205, le vittime tra i ciclisti risultano in aumento nell’ultimo decennio e nel 2022 sono risultate pari a 291 (di cui 141 causate da incidenti con auto), il valore più alto del periodo”.
Classe 1969, dal 1987 sono giornalista automotive
mercoledì 14 febbraio 2024
Il grande Var di Como: l’opinione di Stefano Manzelli
Como scatenata con la videosorveglianza per la sicurezza dei cittadini: sono iniziati i lavori per il grande Var. È il Video assistant referee (proprio come quello del calcio), composto da 99 telecamere che entro l’estate saranno installate in 40 varchi, lungo 80 direzioni di marcia. Il risultato è un controllo elettronico su chi entra e su chi esce. La spesa prevista per il Grande Fratello è di 770 mila euro: leggendo le targhe, monitorerà su incidenti e veicoli in circolazione. Collegandosi al database di Motorizzazione e Ania (assicurazioni), scoprirà le auto con Rca obbligatoria scaduta e revisione ministeriale non effettuata, così da limitare le “mine vaganti”. Nel mirino, anche i mezzi rubati o utilizzati per rapine. Il software presente invia un avviso alla pattuglia più vicina che intercetta il veicolo sospetto.
“Un sistema che potrà risultare molto utile per migliorare la sicurezza stradale e quella dei cittadini in generale, ma che andrà attentamente bilanciato con la protezione dei dati personali - ci spiega Stefano Manzelli, di Sicurezzaurbanaintegrata.it-. Un progetto prezioso anche per individuare i pirati della strada: automobilisti che scappano dopo aver causato un sinistro. Più in generale, l’obiettivo dell'amministrazione dovrebbe essere quello di aumentare la sicurezza digitale della città, facendo crescere la fiducia delle persone nella tecnologia per centri urbani intelligenti e sicuri a 360 gradi. In questi anni, abbiamo supportato oltre 200 enti pubblici nella regolarizzazione dei processi strategici e di tutela dei dati in materia di dispositivi di videosorveglianza urbana. Sul tema, organizziamo anche frequenti incontri di formazione gratuita. Il prossimo si svolgerà a Vittorio Veneto il 21 marzo. Locandina e modalità di iscrizione qui”.
“Un sistema che potrà risultare molto utile per migliorare la sicurezza stradale e quella dei cittadini in generale, ma che andrà attentamente bilanciato con la protezione dei dati personali - ci spiega Stefano Manzelli, di Sicurezzaurbanaintegrata.it-. Un progetto prezioso anche per individuare i pirati della strada: automobilisti che scappano dopo aver causato un sinistro. Più in generale, l’obiettivo dell'amministrazione dovrebbe essere quello di aumentare la sicurezza digitale della città, facendo crescere la fiducia delle persone nella tecnologia per centri urbani intelligenti e sicuri a 360 gradi. In questi anni, abbiamo supportato oltre 200 enti pubblici nella regolarizzazione dei processi strategici e di tutela dei dati in materia di dispositivi di videosorveglianza urbana. Sul tema, organizziamo anche frequenti incontri di formazione gratuita. Il prossimo si svolgerà a Vittorio Veneto il 21 marzo. Locandina e modalità di iscrizione qui”.
Classe 1969, dal 1987 sono giornalista automotive
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