martedì 30 luglio 2019

Casa editrice Facebook


Ho idea che Wikipedia debba aggiornarsi, per quanto riguarda una delle sue voci più importanti: Facebook. Lo definisce un social media e social network a scopo commerciale lanciato il 4 febbraio 2004. Forse tale era nella preistoria tecnologica e mediatica: appunto, nel 2004. Ma oggi è, a mio parere, una casa editrice. O almeno, secondo me, agisce come una casa editrice.

Facebook nasce come social network che riceve le notizie dagli altri. Da me, da voi, da chi è iscritto. Convoglia le news. Fatte di parole, foto, video e altro. Se fosse un social network visto da quattro gatti, potrebbe anche non preoccuparsi dei contenuti. Ma siccome è un colosso senza precedenti nella storia della comunicazione, si preoccupa dei contenuti. E li seleziona.

Qui sta il punto. Se Facebook convoglia le news, è, a mio modo di vedere, un social network. Se Facebook, come in effetti avviene, seleziona i contenuti, è un editore. È una casa editrice. Con addetti che agiscono come fossero giornalisti. Perché, per selezionare i contenuti, occorre spirito critico, che è alla base del giornalismo nel mondo. (Era alla base del giornalismo anche in Italia, prima che il settore si sputtanasse, ma questo è un altro discorso, su cui tornerò in futuro).

Il secondo problema che consegue al primo è che, pur impiegando il massimo sforzo per essere neutrali del tutto, gli addetti di Facebook che selezionano i contenuti lo fanno in modo parziale. Ma è ovvio, è naturale, fa parte dell’essere umano. Noi siamo influenzati da “mammà” e papà, maestrine dell’asilo, insegnanti nelle scuole primarie, amici, conoscenti, parenti, vicini di casa, convinzioni religiose, etiche personali, interpretazioni personali della deontologia professionale. Per non parlare dei bioritmi che regolano il nostro organismo, per cui un giorno vediamo nero, un altro grigio e un terzo ancora bianco. Quand'anche si affidasse a un robot il compito di selezionare le news, il cervello del robot sarebbe pur sempre originato da una mente umana: si torna daccapo.

E se gli addetti di Facebook, nel selezionare con spirito critico e giornalistico le notizie, cancellano qualche post, fanno politica. Non c’è dubbio. Un qualsiasi taglio, in un contesto gigantesco come Facebook, assume una valenza con un peso specifico colossale. Se io pubblico un post dal titolo “Hitler era un idiota” e un post dal titolo “Stalin era un idiota”, e Facebook cancella solo il primo, ha fatto politica in modo evidente. Ma seppure in maniera meno diretta, se pubblico un post dal titolo “I coccodrilli profumano” e un post dal titolo “I coccodrilli puzzano”, e Facebook elimina solo il primo, ha fatto politica. Con ripercussioni su associazioni di animalisti, ambientalisti e cacciatori.

Il giudizio che Facebook dà di qualsiasi post è arbitrario. Basato su convinzioni personali tutte da discutere. Trovo troppo facile che Facebook si levi di continuo dalla mischia col pretesto di essere solo un convogliatore di notizie e contenuti di vario genere. Ritengo debba scendere dall’Olimpo per mescolarsi con gli umani nelle beghe quotidiane che assillano il pianeta, e prendersi responsabilità sotto il profilo editoriale, giornalistico e politico. Oltre che morali.

Facebook non può, a mio parere, neppure sottrarsi alle proprie responsabilità, sostenendo di essere una piattaforma privata, dove entra chi è ben accetto dal proprietario. Facebook infatti oggi è la fonte d’informazione numero uno sul globo terracqueo, letto da persone di qualsiasi estrazione sociale, culturale ed economica, e di qualunque età.

Lassù, di Dio, ce n’è uno solo. Forse. E anche questo è un post discutibile. Vero, Facebook?

domenica 28 luglio 2019

Monopattino elettrico sul marciapiede: zero repressione, pedoni abbattuti

Milano prima dei monopattini elettrici!
Avete mai sentito la storiella della prevenzione per mezzo della sensibilizzazione? Funziona così: se i giovani hanno il vizio di ubriacarsi e drogarsi nelle discoteche per poi uccidersi di notte in auto, si organizza una tavola rotonda. Si dice ai ragazzi di fare i bravi. Due spot tv. Qualche personaggio famoso che racconta “Eh no, così non si fa”. E via. A distanza di mesi, come dimostrano le cronache quotidiane, il risultato della campagna di sensibilizzazione è che il fenomeno della guida in stato alterato da alcol e droga è diventato ancora più allarmante. Per un semplice motivo: non c’è repressione. Ossia niente multe, patenti ritirate, auto (potenti e costose…) confiscate. Polstrada e Carabinieri non hanno mezzi a sufficienza, a cominciare dagli etilometri. La stessa cosa sta accadendo coi monopattini elettrici sui marciapiedi a Milano, capitale della micromobilità a corrente. E si verificherà altrove.

Ora Milano inizia un test, dietro indicazioni del Governo che ha emanato un decreto su monopattini e simili. Chi li usa può farlo solo in determinate aree. Non certo sui marciapiedi. È intanto iniziata la campagna di sensibilizzazione verso i monopattinari, col ritornello che il marciapiede è zona vietatissima. Ma, molto spesso, il monopattinaro elettrico se ne fregherà, come e più di oggi. Lo provano le bici sui marciapiedi, che talvolta investono i pedoni.

In teoria, la multa c’è. L’articolo 190 prevede una sanzione di minimo 26 euro e massimo 102 euro per il monopattinaro elettrico sul marciapiede: "La circolazione mediante tavole, pattini od [sic] altri acceleratori di andatura è vietata sulla carreggiata delle strade. Sugli spazi riservati ai pedoni è vietato usare tavole, pattini od [sic] altri acceleratori di andatura che possano creare situazioni di pericolo per gli altri utenti". Secondo voi, ci sarà mai un Vigile che ferma il monopattinaro birichino e gli appioppa il verbale? Difficile: i Vigili sono pochi e impegnati in altri compiti, e fanno quello che possono. Dovrà pensarci il Comune di Milano. Dovranno provvedere tutti i Comuni, specie quelli che aderiscono al test, come Torino.

E se proprio un Vigile multerà il monopattinaro elettrico, è auspicabile non la sanzione minima di 26 euro, ma la massima di 102 euro. In base all’articolo 195 del Codice della Strada: “Nella determinazione della sanzione amministrativa pecuniaria, tra un limite minimo ed [sic] un limite massimo, si ha riguardo alla gravità della violazione, all'opera svolta dall'agente per l'eliminazione o attenuazione delle conseguenze della violazione, nonché alla personalità del trasgressore e alle sue condizioni economiche”.

È anche una questione di convivenza civile; va eliminato alla radice il possibile problema: mi riferisco a eventuali discussioni fra monopattinaro e pedone. Sono diverbi che possono degenerare. Va a fortuna: un conto è se il monopattinaro elettrico, sul marciapiede, abbatte una vecchietta che cammina col sacchetto della spesa; il monopattinaro potrebbe trasformarsi in pirata della strada (anzi, del marciapiede) e scappare. Un altro conto è se il monopattinaro elettrico urta un mezzo tossico che ha appena sniffato cocaina malandata: i rischi di colluttazione salgono, con esiti imprevedibili. È opportuno meditare subito sul problema, perché siamo all’inizio del boom di monopattini elettrici e al principio della sperimentazione nei Comuni.

lunedì 15 luglio 2019

No, il monopattino elettrico su strada pubblica non si può usare

Va di moda la bufala online sul monopattino elettrico. Prendi un quotidiano che un secolo fa era importante, metti un paio di infografiche sceme, un articolo senza capo né coda, lo infarcisci di idiozie sull’utilizzo legittimo del monopattino elettrico nelle città, lo pubblichi su carta e poi sul web, e il giochino è fatto: tanti copia e incolla, da sparare in rete, stile ventilatore che semina monnezza, su siti internet che verrebbero espulsi dal dark web tanto che sono ripugnanti. Ma tant’è. L’ha detto il quotidiano. E in parecchi ci cascano.

C’è un problema. Quel quotidiano viene ripreso anche dai social, e la notizia finisce sotto gli occhi di qualche ragazzino o adolescente rimbambito. O di qualche genitore senza cervello. Ed ecco il guaio: via a comprare il monopattino elettrico, ché posso usarlo dove mi pare e piace. Anche su strade pubbliche.

Un circolo vizioso alimentato dal fascino della notizia. È bello sentirsi dire che il monopattino elettrico è legale e utilizzabile ovunque, su strade pubbliche. Proprio come è sexy per le orecchie udire che un tizio è stato rapito dagli ufo, la Terra è piatta, ci sono le scie chimiche, non siamo mai stati sulla Luna. Sono articoli online che rendono: visitatori, pubblicità, soldi. Viceversa, la realtà annoia: che brutto sentirsi raccontare che il monopattino elettrico è illegale. Il no. Il no che angoscia il bambino, il quale vorrebbe ingolfarsi di cioccolata e riceve la stangata dal genitore.

La verità è una e semplice: il monopattino elettrico su strade pubbliche non si può usare. D’altronde, il Codice della Strada è del 1993. Non prevedeva allora il monopattino elettrico. La cui larga diffusione all’epoca non era neppure in mente Dei. Se proprio vogliamo scovare un articolo del Codice che richiami vagamente il monopattino elettrico, c’è il 190, comma 8: “La circolazione mediante tavole, pattini od [sic] altri acceleratori di andatura è vietata sulla carreggiata delle strade”. Discorso chiuso.

Passiamo al decreto del ministero dei Trasporti che, sempre secondo quel quotidiano poi ripreso da siti e social per mentecatti, darebbe il via libera alla micromobilità elettrica in tutta Italia d’un colpo. Stile mago Merlino. Ma non diciamo cavolate. Primo: è un test che partirà il 27 luglio 2019. Secondo: la parola passa ai sindaci. Se e quando i sindaci emaneranno le delibere di giunta per renderli utilizzabili in certe zone, allora solo in quelle aree potranno circolare. Terzo: se arriva il sì del sindaco, e se l’area ha specifici cartelli, comunque i veicoli di micromobilità elettrica potranno circolare solo ed esclusivamente sottostando a determinate condizioni. Ve le risparmio: ci sono sette articoli, più tre allegati, più le foto, più i segnali. Concepiti da un bizantino dopo aver fatto indigestione di cozze. Non ho mai letto un decreto così. Io voglio vedere un assessore ai Trasporti che traduce quelle normative. Quarto: non tutti i veicoli di micromobilità. Solo alcuni: hoverboard, segway, monopattini e monowheel.

Non puoi nemmeno venirmi a dire che, siccome su strade pubbliche circolano ormai tantissimi monopattini elettrici ovunque, allora è tutto in regola. Non è un discorso che regge. Per analogia, se molti evadono le tasse, questo comunque non si può fare, solo per citare un esempio banale. Se i ciclisti fanno i pirati della strada abbattendo i pedoni sui marciapiedi e scappando, come ogni tanto accade in Italia, siamo comunque nella illegalità.

Ma perché, vi chiederete, questa spiegazione sui monopattini elettrici e i suoi fratelli? A me quei veicoli non hanno fatto niente. Anzi, mi sono simpatici. Silenziosi, puliti (almeno quando viaggiano), non ingombranti, comodi, anche trendy, sfiziosi. Mi mettono allegria come il canto degli usignoli a inizio primavera. Però occhio ai personaggi che li usano, specie agli adolescenti: se vai a 30 km/h con un monopattino elettrico su una strada pubblica, con accanto una pista ciclabile occupata da tre bici che viaggiano affiancate, mentre sulla sinistra c’è un Tir che sorpassa la bisnonna sull’utilitaria del 1991, lo scenario cambia. Non puoi spiegare al ragazzo e ai genitori del ragazzo che il monopattino elettrico è sempre legale: se lo fai, compi un delitto. In caso di incidente, con feriti e morti, sono disastri umani, sociali, economici.

Morale: servono poche regole e chiare. Per garantire la mobilità dolce e la sicurezza della micromobilità elettrica. Esattamente il contrario di quello che c’è oggi.