C’era una volta una squadra i cui giocatori correvano come matti. Tutti sapevano, nessuno diceva. Tranne uno, da quel momento sempre additato come un appestato invidioso dei belli che vincono. Poi, un processo, le prove, una prescrizione, l’impossibilità a procedere: l’arbitro aveva già fischiato la fine. Ma una morale condanna da parte dei giudici, i quali si dissero impotenti di fronte a un sistema con tentacoli molto più lunghi di quanto si immaginasse.
Altri sospetti sugli arbitri, fischi stranissimi, errori a ripetizione, simulazioni degli attaccanti troppo lesti a crollare in area fingendo l’impossibile ed esultando con gli occhi fuori dalle orbite, segno evidente di un’ipervitaminizzazione che solo i tifosi infantili fingevano di non capire.
Uno univa i sospetti sul doping più quelli sugli arbitri, e il quadro che ne emergeva era desolante. Guarda caso, via doping e arbitri, zero vittorie. Perché?
Ora c’è un’altra squadra, 25 volte più forte di quella di cui sopra, che però comincia effettivamente a esagerare. Troppa corsa continuata e insistita, troppe accelerazioni sovraumane. Qual è il segreto? Per non parlare delle simulazioni: ruzzoloni e guaiti se sentono un respiro sul collo. Con proteste vibrate e violente verso l’arbitro, eternamente accerchiato da un capannello dei più rappresentativi di quella squadra, per chiedere falli, ammonizioni ed espulsioni.
Se poi ti azzardi a batterli all’andata, apriti cielo: al ritorno ti dicono che ti pentirai di essere un calciatore e che passerai dei brutti quarti d’ora della tua vita. Psicologicamente violenti.
Esiste un allenatore antipatico, che provoca fuori dal campo? Questo non autorizza l’altra squadra a sporcare la contesa sportiva, inficiando la regolarità di una competizione con sceneggiate plateali.
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