giovedì 12 marzo 2020

Omicidio da decreto coronavirus: intervista all’avvocato Luca Procaccini

Il decreto coronavirus impone regole identiche in tutta Italia. Posso uscire, ma solo per andare al lavoro oppure per ragioni di salute o per altre necessità. Quali, per esempio, l’acquisto di beni essenziali. Devo comunque essere in grado di provarlo, anche mediante autodichiarazione. Per chi sgarra, quali conseguenze? Ce lo spiega l’avvocato Luca Procaccini, del Foro di Milano, penalista e civilista.

1) Avvocato Procaccini, andiamo per gradi. Sono sano (niente sintomi da coronavirus), e giro senza autocertificazione, quali le conseguenze se Polizia o Carabinieri mi fermano?
Premesso che per certi soggetti ci sono eccezioni (Forze dell’ordine, personale medico e altro), scattano l’arresto fino a tre mesi oppure l’ammenda fino a 206 euro chi vìola i provvedimenti che vietano di spostarsi senza motivo. È il mancato rispetto dell'articolo 650 del Codice penale”.

2) Secondo step. Vado in giro con falsa autocertificazione.
Stando al decreto 445/2000, c’è la reclusione fino a 6 anni”.

3) Punto tre. Ho uno dei numerosi sintomi da coronavirus: uno o più fra febbre, tosse, diarrea, o altri sintomi associati al Covid-19. Vado in giro fregandomene. Quali le conseguenze se Polizia o Carabinieri mi fermano?
Individuo il delitto colposo contro la salute pubblica con reclusione fino a 12 anni in caso di morte. O la violazione dei provvedimenti dell’autorità, un processo per lesioni o tentate lesioni volontarie. È procedibile d’ufficio ed è punito con la reclusione da 3 a 7 anni”.

4) Consapevolmente, vado in giro con l'infezione, invece di starmene a casa per curarmi e comunque in quarantena: cosa mi può succedere?
C’è la violazione dei provvedimenti dell’autorità: si rischia un processo per lesioni o tentate lesioni volontarie. È procedibile d’ufficio. Si viene puniti con la reclusione da 3 a 7 anni. Ma, se causo la morte, scatta l’imputazione di omicidio doloso. Hai ucciso di proposito, con dolo. È prevista la reclusione non inferiore a 21 anni. Ultimo gradino, come il malato di Aids che ha volutamente rapporti sessuali non protetti coi partner, si è colpevoli del delitto di lesioni e/o morte con aggravante. Si è assassini meritevoli dell'ergastolo”.

mercoledì 11 marzo 2020

O muori di coronavirus godendoti diritti e libertà, oppure sopravvivi

È interessante la disquisizione giuridica di Conte. Perché il premier riflette? Vediamo. C’è il pressing della Lombardia per misure più drastiche. Qualcosa di analogo dalla Regione Piemonte: si assocerebbe se si scegliesse questa strada. Ma il presidente del Consiglio replica: “Serve attenzione. La priorità è la tutela della salute, ma ci sono libertà e diritti di cui si deve tener conto, evitando istanze emotive". Libertà e diritti, dice il premier.

Parliamo di libertà e diritti che sono alla base della democrazia, da difendere coi denti e con le unghie. Nel mentre che il premier medita, oggi in Lombardia, ci sono stati 1500 nuovi contagi. Siamo davanti a un bivio. A sinistra si muore di coronavirus, però ci godiamo libertà e diritti. A destra si sconfigge il coronavirus, con inevitabili e pesanti limitazioni della libertà e dei diritti. Non so quale sia la strada giusta. A proposito di libertà, ognuno è libero di pensarla come crede. Ognuno è anche libero di morire come vuole: magari c’è chi ama andare al Creatore tutto libero e stracolmo di diritti, abbracciato alla Costituzione.

Nel mentre che il premier medita, riflette e pondera, segnalo un piccolo ma significativo episodio nell'ospedale Cotugno di Napoli. Una persona con sintomi febbrili era in attesa di fare il tampone. Innervosito, l'uomo ha sputato a una dottoressa e a un infermiere. Ora i due sanitari sono stati messi in quarantena e il locale è stato sottoposto a sanificazione. L’uomo è sparito. Mi piacciono le parole del direttore generale dell'ospedale Cotugno di Napoli Maurizio Di Mauro: "Ho perso un medico e un infermiere validissimi che adesso devono state in isolamento. Sputare addosso a una persona quando si hanno, in un momento come questo, quelle sintomatologie equivale a sparare”. Pertanto, quel signore ha sparato con la saliva anziché sparare con la pistola.

Attenzione ai decreti all’acqua di rose, ai provvedimenti provvisori, parziali, poco limitanti, poco vincolanti, poco estesi. Occhio a non far sentire la presenza delle Forze dell’ordine e dell’esercito. Specie in certe zone del Paese. La Cina ha agito in modo brutale e quasi risolto. Qui noi, amanti della libertà e dei diritti, che intenzioni abbiamo?

Ma sentiamo Fontana (governatore Lombardia) cosa propone e Conte. In 10 punti.
  1. Chiusura di tutte le attività commerciali al dettaglio, a eccezione di quelle relative ai servizi di pubblica utilità, ai servizi pubblici essenziali, alla vendita di beni di prima necessità e alle edicole.
  2. Chiusura di tutti i centri commerciali, degli esercizi commerciali presenti al loro interno e dei reparti di vendita di beni non di prima necessità. Restano aperte le farmacie, le parafarmacie e i punti vendita di generi alimentari e di prima necessità. Sono chiusi i mercati sia su strada che al coperto e le medie e grandi strutture di vendita.
  3. Chiusura di bar, pub, ristoranti.
  4. Chiusura delle attività artigianali di servizio a eccezione dei servizi emergenziali e di urgenza.
  5. Chiusura di tutti gli alberghi e di ogni altra attività destinata alla ricezione a eccezione di quelle individuate come necessarie ai fini dell’espletamento delle attività di servizio pubblico.
  6. Sospensione di tutti i servizi mensa.
  7. Chiusura di tutti i servizi terziari e professionali, a eccezione di quelli legati alla pubblica utilità e al corretto funzionamento dei settori richiamati nei punti precedenti.
  8. Si propone l’ulteriore sospensione, di conseguenza, dei termini processuali e degli adempimenti di natura amministrativa, assicurativa.
  9. Ogni attività svolta con modalità di lavoro agile è consentita.
  10. È fatta salva l’individuazione da parte di Regione Lombardia delle attività di indifferibile necessità.

martedì 10 marzo 2020

Il decreto coronavirus e la pericolosa deriva verso le grida manzoniane

Grazie al suo genio divino, Alessandro Manzoni nel 1800 ha anticipato quanto oggi accade in Italia per via del coronavirus. Pensate alle grida manzoniane nell’inarrivabile romanzo “I promessi sposi”. È il Manzoni a dirci quale fosse il fine ultimo delle grida: disposizioni accomunate da titoli altisonanti. Condite da linguaggio contorto e articolato. Un cocktail acido composto da dettagli oscuri. Vi si annunciavano pene severissime, con riferimenti a normative che rimandavano ad altri commi e cavilli. Ma alla fine, ci spiega lo scrittore, poeta e drammaturgo italiano (nonché veggente, a questo punto), qualora l’individuo se ne fosse infischiato, poco o nulla gli sarebbe accaduto. Cosicché quelle regole così astruse e ingarbugliate venivano perlopiù disattese.

Sentiamo la singola grida del 1584 di don Carlo d'Argon. Un tipo che comandava, aveva bei vestiti e un sacco di titoli: principe di Castevetrano, duca di Terranuova, marchese d'Avola, conte di Burgeto, grande ammiraglio e Gran contestabile di Sicilia, governatore di Milano e capitano generale di sua Maestà Cattolica in Italia: “Che qualsivoglia persona, così di questa Città, come forestiera, che per due testimonj consterà essere tenuto, e comunemente riputato per bravo, et aver tal nome, ancorché non si verifichi aver fatto delitto alcuno. ... per questa sola riputazione di bravo, senza altri indizj, possa dai detti giudici e da ognuno di loro esser posto alla corda et al tormento, per processo informativo ... et ancorché non confessi delitto alcuno, tuttavia sia mandato alla galea, per detto triennio, per la sola opinione e nome di bravo”.

Che cosa ha detto don Carlo d'Argon? Non lo sa neppure lui.

Ma veniamo al nostro decreto coronavirus. Qui ci trovi obblighi, disposizioni imperative, consigli, raccomandazioni, vive raccomandazioni. Evitare ogni spostamento di persone fisiche in entrata e in uscita dai territori, dice il decreto. Non obbliga. Raccomanda. Sarebbe meglio che. Parrebbe opportuno che. Salvo che per gli spostamenti motivati da comprovate esigenze lavorative o situazioni di necessità ovvero spostamenti per motivi di salute. Quella stessa raccomandazione cade se hai un motivo valido per non seguirla, e quel motivo valido lo costruisci da te mediamente autocertificazione.

Passiamo alla pena imposta dal decreto coronavirus. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, il mancato rispetto degli obblighi di cui al presente decreto è punito ai sensi dell’articolo 650 del codice penale, come previsto dall’art. 3 comma 4 del decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6. Domanda: se non ci sono obblighi, ma raccomandazioni, e se queste raccomandazioni non valgono in caso di necessità, e se la necessità la comunico mediante autocertificazione, quale pena impone il decreto a un obbligo che non c’è?

Mi spiego meglio. Quando, da bimbi (che nostalgia), i miei amici e io facevamo casino all’oratorio rubando le caramelle (sì, brucerò tra le fiamme dell’inferno), la perpetua si raccomandava di non farlo più il giorno seguente. Si raccomandava. Un caldo consiglio. Che chiaramente veniva disatteso da tutti i piccini (sì, vi ritroverò all’inferno, tutti). Se da bimbo facevo il monello a casa, mio padre non mi faceva più uscire e, quando il caso, poggiava delicatamente la sua manina sulla mia guancia, lasciando un segno che durava ore: quella era la (giusta) pena per un obbligo disatteso (e per la quale ringrazio tuttora il mio splendido papà che non c’è più).

Che cosa può succedere ora con questo decreto? Il principio base è sacrosanto: io resto a casa il più possibile affinché il coronavirus crepi. Ma se manca il cuore pulsante del decreto che impone di tenere un certo comportamento, se non c’è la punizione che segue alla mancata osservanza di una norma semplice e chiara, allora prevedo per il decreto coronavirus la pericolosa deriva verso le grida manzoniane.

Coronavirus: giusto il concetto “Io resto a casa”, ma il decreto è monco

Se un palazzo va in fiamme di notte, si scappa per strada in pigiama, o in mutande o nudi del tutto. Per tutti quelli che sono fuggiti, è un dramma. Ognuno ha perso l’appartamento, i soldi, i vestiti, i computer, gli smartphone, i mobili: la propria vita che si brucia. Per ognuno un sacrificio, un pianto, una disperazione. C’era un’altra soluzione? No. Occorreva salvare la pelle, e così è stato fatto. Analogamente, il decreto coronavirus “Io resto a casa” è giusto: obiettivo, non crepare di Covid-19.

Lasciamo stare che il provvedimento sia arrivato in gravissimo ritardo e che il problema sia stato drammaticamente sottovalutato dal Governo, in primis da Conte e Speranza (sorvoliamo su Sala e Zingaretti, che non appartengono al Governo centrale). Ora si pongono altre cinque questioni.

1) L’Italia deve sfondare di ulteriori 10 miliardi di euro il deficit. Si sconfina di altri 10 miliardi. Un surplus di rosso sul conto di 10 miliardi. Tanto per iniziare. È una stima approssimativa calcolata sul fatto che, grazie al decreto coronavirus “Io resto a casa”, i numeri del contagio facciano meno paura in un futuro prossimo. Non si sa quando. Con un effetto domino sul sistema Italia di cui non si conoscono gli effetti.

2) Col decreto, l’Italia scimmiotta la Cina. Che ha imposto il coprifuoco per cominciare a debellare il Covid-19. Non ho tempo da perdere, vado di fretta. Sicché mi esprimo mediante una sintesi casereccia. Attenzione alla differenza. Se in Cina sfondi il muro imposto dalla legge e ti beccano in giro, sei un uomo spacciato e finisci dritto fra le braccia di Manitù. Se in Italia circoli senza permesso (necessità, lavoro, salute), non s’è compreso quali siano le conseguenze. Si può circolare per comprovate esigenze lavorative o situazioni di necessità. Che vuol dire tutto e nulla. Poi ci sono le raccomandazioni, ossia i consigli. Infine ci sono le forti raccomandazioni, ossia i consigli super consigliati. Io non ci ho capito niente: non so che cosa sia vietato, che cosa sia raccomandato, che cosa sia fortemente raccomandato, quali siano le eccezioni, come dimostrare le necessità lavorative, come provare le situazioni di necessità. Trovo sublime l’autocertificazione. Io mi certifico da me. Divento un’azienda: produco un bene e certifico da me quell’oggetto, faccio un’omologazione in base ai miei criteri a capocchia in assenza di enti terzi che diano giudizi. È invece palese che ci sia il divieto assoluto di muoversi dalla propria abitazione a chi sia in quarantena o risulti positivo al corona: e ci mancherebbe pure.

3) Se un Governo emana un decreto coronavirus che paralizza l’Italia, i sacrifici economici non sono identici per tutti. Nel caso io sia un tassista, perdo un patrimonio perché nessuno sale sulla mia auto. Qualora io sia un professionista, oppure abbia la partita Iva, o debba pagare rate e mutui e anticipare al Fisco i soldi dell’anno dopo, sono nei guai. Perfino per i dipendenti sono cavoli amarissimi: la propria azienda produce un bene o un servizio che non viene venduto, mettendo a rischio la sopravvivenza della ditta. Il tutto peggiora se ci sono scadenze incombenti, rate, debiti di ogni tipo da onorare.

4) Viceversa, per altri, la musica è diversa: parlo per esempio di tutti i ministri che prendono lo stipendio, e che stipendio, dallo Stato senza ritardi, fino all’ultimo cent. Senza blocchi, zone rosse, aree che si scoloriscono e divengono arancione, mini-blocchi di Codogno, medi-blocchi della Lombardia, maxi-blocchi nazionali, consigli lievi, medi, forti. Un bonifico puntuale e preciso come la pioggia d’autunno, giusto e determinato come la morte.

5) A mio giudizio, serve un decreto per aiutare lavoratori e famiglie. Un fondo importante, da alimentare anche con altre sforbiciate immediate all’apparato burocratico-amministrativo di questa nazione. Una dotazione a beneficio di tutte le categorie. Siamo in guerra, il nemico si chiama coronavirus. “Io resto a casa”, combatto e ci perdo una barca di soldi. Ma tutti devono fare la loro parte.

domenica 8 marzo 2020

Collasso ospedaliero da coronavirus: la morte da dispnea nel letto di casa

Conoscete il dilemma dell’auto a guida autonoma? Il veicolo deve fare una scelta: individuare chi ammazzare. Un esempio. La vettura senza conducente si trova davanti a tre possibilità, senza via d’uscita. Uno: a sinistra investe e uccide sette anziani che passeggiano. Due: al centro, travolge un bimbo.Tre: a destra, spazza via due signore. Il cervello elettronico dell’auto elabora la strategia da sé, visto che l’uomo non è al volante. Qualcuno morirà, sulla scorta dell’algoritmo interno alla macchina robot. Analogo è il dilemma dell’ospedale. In Lombardia - che sostiene in modo decisivo il Prodotto interno lordo e che è all’avanguardia sotto il profilo delle strutture mediche in Italia e nel mondo (un’eccellenza indiscutibile e riconosciuta a livello internazionale) -, gli ospedali sono a un millimetro dal collasso. Troppi ammalati gravi di coronavirus. Pertanto, ogni singolo ospedale che supererà la soglia di tolleranza, dovrà necessariamente prendere una decisione. Far morire o Tizio o Caio. Tenendo fuori dall’ospedale o Tizio o Caio. Perché l’ospedale è sovraffollato, ed è già un miracolo se si riesce a curare uno fra Tizio e Caio.

Questo in Lombardia. Questo a Milano. Patria della sanità, da prendere a modello e da copiare. Il malato grave di coronavirus affetto da polmonite, se e quando gli ospedali arriveranno al collasso, potrebbe morire, stando alle previsioni degli esperti, soprattutto di dispnea. Cos’è? Tutti conoscono l’apnea: l'assenza di respirazione esterna o una pausa della respirazione superiore ai 15 secondi. Ma la dispnea è l’incubo che si materializza: una respirazione alterata per ritmo o frequenza; una respirazione che avviene con fatica. Il paziente soffre disperatamente perché non riesce a respirare. Un senso di soffocamento terribile.

Ecco perché i macchinari in Lombardia funzionano a pieno ritmo: in terapia intensiva, combattono la dispnea. Sono strumenti salvavita. Negli ospedali dove stanno lavorando angeli come medici, rianimatori, anestesisti, infermieri e tutto il personale, anche quello in pensione e richiamato (e, temo presto, pure gli specializzandi). Siamo nelle loro mani. Nella legittima speranza che l’epidemia venga lentamente arginata, e che il numero di malati gravi cali. Comunque, stando a una mia personale opinione, la Lombardia è così straordinariamente forte da essere pronta al peggio: potrà reagire utilizzando al massimo le strutture ospedaliere private e gli alberghi, così che si crei una virtuosa assistenza collettiva. Grazie all’energia vitale di tutti quelli che vivono e lavorano in Lombardia. Si fermeranno interi reparti tradizionali, si bloccheranno gli interventi chirurgici normali, per dare spazio al coronavirus. Si moltiplicheranno i posti di rianimazione, con gli intubati ovunque. Prima il paziente Covid-19 con polmoniti orribili, poi gli altri: è la parola d’ordine del triage.

Ma andiamo più giù in Italia. Scendiamo lì dove adesso frotte di viaggiatori in treno e con altri mezzi si dirigono verso Sud, scappando dalla Lombardia. L’auspicio è che non accada nulla. Immaginiamo però che il numero di malati salga. Ipotizziamo che, fra questi, ci siano uomini e donne anziani o con gravi patologie in corso. E che abbiamo bisogno di un ricovero urgente nelle strutture sanitarie per combattere tutti i sintomi, inclusa la dispnea. Che cosa mai potrebbe accadere se il sistema ospedaliero del Sud non dovesse reggere? Lo scenario non è così improbabile, visto che la sanità nella parte bassa dello Stivale non la si può certo considerare un’eccellenza a livello globale.

L’eventuale collasso del sistema sanitario meridionale avrebbe una conseguenza ben precisa. Saranno i medici a decidere chi deve vivere e chi morire. Seguendo un protocollo interno imposto dall’alto, con logiche ovvie: prima, si salva chi ha aspettative di vita maggiori. In altri termini, prima si salva il più giovane che non ha patologie pesanti; dopodiché, se c’è tempo e spazio, si fa sopravvivere il più vecchio con malattie gravi. Se per quest’ultimo non c’è posto in ospedale, allora muore a casa. È etica clinica: entra in gioco quando la necessità supera la disponibilità. Così, col collasso ospedaliero da coronavirus, si assisterà alla morte da dispnea nel letto di casa. Senza assistenza esterna.

Tutto questo si poteva e si doveva evitare. Ci sono persone preposte a questi compiti, con stipendi faraonici in epoca di recessione. Non l’hanno fatto. Dando disposizioni disomogenee, contraddittorie, confuse, disordinate nel tempo, nel modo, nei contenuti. Con selfie sbilenchi nel mentre si aggregano nei bar e abbracciano il prossimo all’insegna dell’inclusione, e con esternazioni tese a minimizzare e a sottovalutare il Covid-19. Così, i cittadini hanno perso ancora più fiducia nelle istituzioni, negli individui in cabina di pilotaggio. Il giorno in cui la strage del coronavirus sarà terminata, s’imporrà una riflessione sulla catena di comando nella democrazia parlamentare in Italia. Per preservare i princìpi della democrazia, messi in pericolo proprio da quegli uomini che dovrebbero invece esserne arcigni tutori.