1) Murray. È per ora indistruttibile nella diagonale di rovescio. Si trova così a suo agio in questo colpo, che ha talvolta aggirato la palla per colpire a due mani: in genere, i professionisti compiono il movimento inverso, ossia si spostano dalla parte del rovescio per picchiare di dritto a uscire. Lo fa perfino Wawrinka, che è considerato il “re del rovescio”: aggira la palla e spara di dritto. Nei momenti decisivi, lo scozzese mette una seconda stracolma di rotazione: nel servizio da destra verso sinistra, la palla rimbalza abbastanza alta sul rovescio dell’avversario; da sinistra verso destra, tende a sbattere fuori dal campo chi sta al di là del nastro. Una strategia che darà molto fastidio a Paire. Tuttavia, ha evidenziato seri problemi nello spostamento laterale, da sinistra verso destra. Il dritto in corsa lungolinea è molle: lo scozzese si appoggia alla botta dell’avversario, restituendo una palla con discreto taglio ma poco potente. E, contro Fognini, ha avuto alti e bassi a livello atletico e mentale: pareva quasi un giocatore di seconda categoria, che non trova continuità. Dicono che abbia problemi all’anca. Lo scozzese è un atleta serio, onesto, sportivo; ma quando si tratta di infortuni, alterna andature claudicanti a improvvise e prodigiose accelerazioni. Lo fa da sempre, forse è un suo modo di recuperare energie, o di nascondersi.
2) Nadal. Premesso che è un suo Wimbledon (superficie non velocissima, campo centrale con tanta sabbia), Rafa si apre il campo con estrema facilità con una palla altissima di dritto sul rovescio dell’avversario. Se ha tempo, si sposta ancora sul dritto e affonda nell’angolo opposto; altrimenti, sforna una rasoiata di rovescio. Sul proprio servizio, è ingiocabile: l’erba terrosa (o la terra erbosa, fate voi) gli consente di giostrare le situazioni a piacere. In quanto ai recuperi, non ha grossi problemi: Khachanov lo ha pestato oltre ogni limite, ma la palla ritornava sempre di là. Un unico neo: la palla tesa nell’angolo sinistro, sul dritto. Che poi è stata la chiave del successo di Federer agli Australian Open. Qualcosa da rivedere nel colpo al volo di dritto.
3) Federer. Ha trotterellato. Ha passeggiato a fari spenti. È un ghepardo che sonnecchia nella savana, per poi piazzare qualche allungo terrificante in un paio di momenti chiave dell’incontro. Dagli ottavi in poi, è però obbligato a mostrarsi. O in tutta la sua magnificenza, oppure evidenziando i limiti legati all’età: stiamo parlando del più grande tennista di ogni epoca (e del più forte atleta di ogni tempo in qualsiasi disciplina sportiva) che ha 36 anni. L’ho trovato rapidissimo nel sistemare i piedi, lestissimo negli spostamenti in tutte le direzioni: un ragazzino. Qui siamo al confine della fantascienza, considerando la durezza del tennis moderno. Se proprio devo scovare un difetto emerso a Wimbledon 2017, non s’è mai vista una prima di servizio come il suo tennis comanda; ma ritengo, come detto, che li tenga in… serbo.
4) Djokovic. Fra tutti, per ora è quello che ha affrontato l’avversario più duro: Gulbis. Nel primo set dei sedicesimi di finale, il serbo s’è dimostrato intelligentissimo: sotto per 4-2, ha accelerato come più non poteva. Il rischio, con il tennista lettone in crescita, sarebbe stato un incontro basato sui nervi e sulle righe cercate a 200 km/h. Mi pare ritrovato dal punto di vista nervoso, sotto il profilo della concentrazione, che è poi il suo pregio numero uno. Un piccolo difetto: il dritto lungolinea. Alza la traiettoria, è preciso, ma la palla non corre come sul rovescio. E proprio lì bisogna snidarlo, nell’angolo alla propria destra.
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