mercoledì 29 aprile 2020

Distopia ciclistica milanese

Il Comune di Milano punta sui monopattini elettrici e sulle bici (tradizionali e a pedalata assistita) per prevenire i contagi del corona e per snellire il traffico. Palazzo Marino andrà a creare nei prossimi giorni chilometri di piste ciclabili, restringendo lo spazio dedicato ad auto, moto e mezzi pesanti. Entro settembre, 23 km di nuovi percorsi ciclabili, e altri 12 km entro fine 2020. Che si sommano ai 220 km attuali, il triplo di 15 anni addietro. È una mossa sbagliata per 10 motivi.

1) A Milano, il 12% degli incidenti riguarda i ciclisti: si viaggia al ritmo annuo di 60 morti in bici. Più 7.000 feriti, di cui una quantità enorme con lesioni fisiche gravi: non è la sbucciatura al gomito del bimbo che si fa male al parchetto. Se il numero di bici sale, inevitabilmente cresceranno anche le vittime. Anche perché sulle stesse piste ciclabili, negli orari di punta, si verrà a creare traffico: una moltitudine di ciclisti che si accalcano.

2) Alla bici, ora si somma il monopattino elettrico. Attenzione alla convivenza fra questi due veicoli, equiparati per legge: non c’è mai stato un test per verificare se il numero di incidenti salga in presenza di entrambi. D’improvviso, bici e monopattini vengono scaricati in massa sulla strada, tutti insieme, in un momento drammatico come questo. È un azzardo.

3) La bici in sé, come il monopattino del resto, fa tanta simpatia: è il mezzo di locomozione perfetto in California, su carreggiate gigantesche, e con infrastrutture che tutelano gli utenti deboli. La bici a Milano è solo un oggetto pericoloso. Non c’è spazio. La città è cresciuta negli anni 1950 e 1960 sulla scorta di un certo numero di abitanti, di pendolari, di veicoli. Adesso, il conglomerato urbano esplode. Si soffoca per la quantità gigantesca di individui che la popolano nelle ore lavorative: chi induce a muoversi con bici e monopattini si assuma poi le proprie responsabilità per ogni incidente. Gli utenti deboli vanno protetti, non mandati allo sbaraglio. Bisogna invece dare spazio alle auto: aprire le zone a traffico limitato, creare parcheggi, favorire l'onda verde semaforica, consentire una viabilità più fluida rivedendo i sensi vietati, scaglionare gli orari di lavoro sulla scorta di accordi fra municipalità e aziende.

4) Il pericolo è che i soggetti sedentari siano spinti a muoversi per la città in bici. Non per la salutare passeggiatina al parco, ma per pedalare su piste lunghe chilometri e con qualsiasi condizione meteo, respirando le polveri sottili (dovute alle caldaie vetuste). Può trattarsi di individui con patologie più o meno nascoste: sono soprattutto i maschietti i più restii ad ammettere l’invecchiamento del proprio organismo. Ti ritrovi così per la strada un esercito di pedalatori affaticati, con fiatone, stanchi, stressati, col cuore in gola. Anche smarriti. Magari reduci dall'attacco del corona ai polmoni. Si innalza la curva di rischio incidente. In più, indossano la mascherina per il Covid-19: toglie il respiro se il battito cardiaco sale, con la mancanza di ossigeno (ipossia) dietro l’angolo. Milano dovrebbe invece aiutare gli automobilisti, costretti macinare chilometri da casa al lavoro, e viceversa (o a scarrozzare bambini o anziani per km, anche sotto le intemperie).

5) Auto, moto e mezzi pesanti avrebbero bisogno di carreggiate più larghe: è una delle soluzioni per snellire il traffico, abbattere le emissioni inquinanti, aumentare la sicurezza stradale. Con l’auto che fa da scudo contro il Covid-19: un guscio sicuro, a beneficio della collettività. Invece, le piste ciclabili vanno a sottrarre spazio ai mezzi a motore: il congestionamento cresce, è matematico. Oggi le corsie per le auto sono quattro; domani diventano due. Il Comune di Milano si è avviluppato su se stesso: prima l’Area A e l’Area B contro il traffico, poi il restringimento della carreggiata che aumenta le probabilità di incolonnamenti. Che caos.

6) Voglio vedere come e dove avverranno le procedure di carico e scarico dei furgoni, e se non ci sarà uno scontro fisico con ciclisti e monopattinari. Lì dove adesso c’è spazio per quelle operazioni, fra poco non esisterà neppure un centimetro cubo d’aria: i fattorini taglieranno la strada ai ciclisti. L’idea di utilizzare vie perpendicolari a quelle dove si deve consegnare la merce fa sorridere: si allunga la sosta dei furgoni, spesso posizionati in modo irregolare, andando a impattare negativamente sulla circolazione delle viuzze meno note.

7) Esistono incidenti con colpe degli automobilisti, ma anche sinistri con responsabilità dei ciclisti. Prima di varare il piano delle ciclabili, sarebbe opportuno sensibilizzare chi va in bici e in monopattino elettrico: no all’uso dello smartphone, massima osservanza delle regole del Codice della strada, niente contromano. A tutela dell’utente debole stesso. Così invece è un liberi tutti. Occhio anche al pirata della strada in bici: investe un pedone (utente ancora più debole del ciclista) e scappa. Sulla ciclabile come sul marciapiede. Non si ha notizia di multe per le infrazioni dei ciclisti: sarebbe ora che la legge fosse uguale per tutti.

8) Durante la presentazione di questi e altri piani per la mobilità dolce, si evidenzia il fatto che Milano sia pianeggiante. E che pertanto si presti all’uso intensivo di bici e monopattini elettrici. La chiamano urbanistica tattica. Peccato che venga dimenticato qualche dettaglio. Anzitutto, esiste una miriade di strade piastrellate col pavè. Ci s’imbatte in grossi ciottoli squadrati che spuntano fuori, fanno da trampolino, e perdipiù sono scivolosissimi dopo due gocce di pioggia. Esistono rotaie del tram ovunque. Stendo un velo pietoso sui crateri che si squarciano dopo ogni pioggerella.

9) Il tutto condito da ciclabili con linee sconnesse, e rarissime nella zona sud e ovest della metropoli. Si va a zigzag fra tratti riservati, marciapiedi, strade, un po’ di ciclabile con i furgoni parcheggiati e così via. Questo significa mettere a repentaglio la vita dei ciclisti e dei monopattinari. Ammesso e non concesso che si arrivi in bici alla fermata della metropolitana, qui vige il divieto di assembramento: per andare a lavorare alle 9, devi alzarti alle 4. Perché un conto è la teoria facile, ragionando su uno schema arcobalenico; un altro la realtà nella giungla urbana. Oscena poi l’idea che riguarda viale Monza. Il Comune meneghino piazzerà una ciclabile al centro della carreggiata. Protetta, si fa per dire, da elementi che delimitano la pista. Con auto, moto e mezzi pesanti che sfrecceranno alla destra del ciclista e del monopattinaro. Un obbrobrio sotto il profilo estetico, nonché una scelta controproducente dal punto di vista della sicurezza.

10) Esploderanno seri problemi di natura assicurativa. Ciclisti e monopattinari non hanno nessun obbligo di stipulare una polizza Rc: Responsabilità civile. Se causano incidenti, pagano i danni di tasca loro. Qualora il sinistro sia grave, l’indennizzo lievita in un attimo, arrivando anche a milioni di euro in presenza di feriti o morti. L’utopia ciclistica milanese, quell’aspirazione ideale che tende al mondo perfetto e pulito, animato da bici e monopattini, diviene così una distopia ciclistica, la rappresentazione di un futuro indesiderabile.

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