martedì 3 gennaio 2017

Antitrust delle bufale online. Le tre sfide ai limiti dell’impossibile

Ritengo che il futuro del web passi attraverso un eventuale Antitrust delle bufale online. Problema correttamente sollevato da Giovanni Pitruzzella (qui), presidente dell’attuale ed esistente Antitrust italiano (qui). Se e quando dovesse mai essere creato un ente che si occupa di scovare le panzane sul web (e magari eliminarle, punendo i responsabili), saranno gli 007 dell’Antitrust delle bufale a organizzare il loro lavoro. Non spetta certamente a me, semplice giornalista, dare un contributo. Tuttavia, credo che la partita si giochi sui seguenti tre fattori che trovate in basso. Se siete interessati, li spiego tramite esempi concreti. Sappiate, questo lo dico in anticipo, che si tratta di sfide ai limiti dell’impossibile: ora vedrete perché.

1) Il 1° gennaio 2017, il sito Internet “X” dice che, secondo uno studio americano fatto dal centro ricerche “Y”, mangiare le fragole blu fa bene alla vista. Non è il sito “X” a riportare una propria tesi. Si limita a riferire quanto dice uno studio americano. A questo punto, l’Antitrust delle bufale va a caccia dello studio. Si rivolge al centro ricerche “Y”. Lo contatta per telefono o via e-mail. Dopo un mese, il centro ricerche “Y” risponde, inviando lo studio all’Antitrust delle bufale. Che lo fa analizzare a esperti del settore. Dopo un anno, riceve risposta: non è vero che mangiare le fragole blu fa bene alla vista. Al contrario, fa male. Siamo arrivati nel frattempo al 1° febbraio 2018. Allora, l’Antitrust delle bufale contatta il sito “X”, imponendo la rimozione dell’articolo dal web. Dopodiché, impone la rimozione dell’articolo da tutti i siti web che hanno ripreso la bufala, diventata virale. Perché la notizia che mangiare le fragole blu fa bene alla vista è simpatica, accattivante. Siamo al 1° gennaio 2019. La bufala ha combinato due anni di disastri. Molte persone, nel mondo, hanno comprato le fragole blu ritenendo che faccia bene alla vista. La frittata è fatta: il guaio lo limiti, ma ormai è tardi. L’Antitrust delle bufale multa il sito “X”. Spetta a qualche altra autorità, se intende farlo, sanzionare il centro ricerche “Y”. Ecco allora il primo scoglio dell’Antitrust delle bufale: la questione tempo.

2) Il 1° gennaio 2017, il sito Internet “X” dice che, secondo i colossi assicurativi nel mondo, sette persone su dieci organizzano truffe ai danni delle compagnie. Per questo (dice il sito), i premi assicurativi sono così costosi. Nessuna perdita di tempo: lo studio arriva subito via mail all’Antitrust delle bufale. Settemila pagine fitte di dati, statistiche, prove documentate. Assicurati ladri, compagnie vittime (poverine). Senonché, un componente dell’Antitrust delle bufale scova, nel rapporto dei colossi assicurativi, che si parla di “rischio frode”. Su dieci polizze, sette sono a “rischio frode”. Potrebbe esserci una truffa. Forse. Sono richieste di risarcimento in odore di truffa. Su queste sette domande di rimborso, per due si è finiti davanti a un giudice. Di queste due, per il 10% il magistrato di primo grado ha stabilito che sì, la truffa c’è. Morale: la verità è che una percentuale di una percentuale di una percentuale di una percentuale è composta da truffe (accertate in primo grado, senza appello ed eventuale “Cassazione”). Il 1° gennaio 2019, l’Antitrust delle bufale obbliga il sito “X” a modificare la notizia. Fa così per tutti i siti che la riportano. L’Antitrust delle bufale non può certo multare il sito “X”, che non ha capito lo studio. Perdipiù, fatto da colossi assicurativi, dotati di credibilità. E ai colossi assicurativi, qualche multa appioppare? Nessuna. Il rapporto parla chiaro: “rischio frode”. Se poi i siti interpretano a loro modo, che colpa hanno le compagnie assicuratrici? Non è responsabile l’azienda gigantesca se i vari siti sono gestiti da scimpanzé e se i lettori dei siti hanno la capacità intellettiva di un cercopiteco. Ecco il secondo problema dell’Antitrust delle bufale: l’estremizzazione della notizia; un concetto (difficile da far digerire alla massa) che viene ultra-sintetizzato in modo profondamente errato nel titolo, nel sommario, nel testo. 

3) Il 1° gennaio 2017, il sito “X” dice che Ciccio Pasticcio, contadino impazzito, ha baciato una gallina ballando il samba su un piede solo. C’è addirittura un filmato: “Clicca qui, video”. Che riceve un milione di visite ogni ora. L’Antitrust delle bufale indaga. Sì, è vero: Ciccio Pasticcio, contadino impazzito, ha baciato una gallina ballando il samba su un piede solo. Poi, l’Antitrust delle bufale clicca sul video. Che fa vedere il paesello del contadino. Ci sono le interviste ai vicini di casa del contadino. Poi si vedono galline. Ci sono tremila commenti di lettori imbufaliti: “Ma io volevo vedere il contadino impazzito che ha baciato una gallina ballando il samba su un piede solo! E invece qui non c’è!”. Intanto, il sito “X” ha fatto i soldi, grazie alle pubblicità legate ai clic. Ha acquisito notorietà. E si difende: “Io, sito ‘X’, non ho mai detto che nel video si vede un contadino impazzito intento a baciare una gallina ballando il samba su un piede solo”. L’Antitrust delle bufale che cosa fa: multa il sito “X” per aver tratto in inganno i lettori con un artificio diabolico? E di conseguenza che cosa fa: multa tutti i siti dove c’è scritto un “Clicca qui” equivoco? Ecco la terza sfida, la più difficile delle tre: definire le fake news. Una bufala è una notizia falsa, una foto fasulla, un video che ha poco a che vedere con la notizia, o altro?

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