venerdì 6 gennaio 2017

Antitrust delle bufale: intervista a Laura Biarella

L’avvocato Laura Biarella vive dentro Internet. E detesta le bufale online. Pubblicista, docente di diritto dell’arbitrato e diritto procedurale civile, ha scritto diversi e-book, portando avanti quella che lei definisce “la battaglia della verità sul web”: scova sentenze e massime giuridiche per spiegarle in rete in modo semplice ma, al tempo stesso, corretto. Ecco perché è d’obbligo una chiacchiera con Laura su un possibile Antitrust delle bufale, problema correttamente sollevato da Giovanni Pitruzzella (qui), presidente dell’attuale ed esistente Antitrust italiano (qui).

Laura, serve davvero un Antitrust delle bufale?
“Certamente, se non vogliamo abbassare ulteriormente il livello culturale del nostro Paese. Le persone credono alle cose più assurde perché le hanno lette nel moderno oracolo del web che, allo stato, rappresenta la fonte principale di informazione e divulgazione, nonché una sorta di sibilla cumana, che eroga responsi sulle materie più disparate. E la cui autorità, purtroppo, sembra prevalere sulle fonti ufficiali”. 

Mi fai un esempio?
“La bufala della correlazione eziologica tra il vaccino MPR e la sindrome dello spettro autistico. È stata smentita in particolare dal nostro ministero della Salute, nonché, in ambito planetario, dall’intera comunità scientifica. Come effetto ha sortito decessi di anime innocenti, vittime del qualunquismo culturale dei propri genitori. Senza addentrarci nella problematica ulteriormente connessa, concernente la cosiddetta ‘immunità di gregge’”. 

In campo giuridico, quali sono le bufale più frequenti che trovi in rete?
“Concernono le più disparate questioni individuali, dalle separazioni alle difficoltà finanziarie, prospettando soluzioni prodigiose, che nulla hanno a che fare col diritto. Sono notizie distorte messe in rete da diversi soggetti”.

Chi?
“Uno: avvocati poco inclini al rispetto dei propri doveri deontologici. Mirano ad adescare il maggior numero di clienti (dopo aver cliccato il link, sovente ne compare uno ulteriore, per richiedere consulenze legali a pagamento). Due: moderni praticoni. Coloro cioè che navigando in Internet e leggendo, in maniera incoerente e senza aver conoscenze di base, il materiale pubblicato in rete ritengono di poter dispensare consigli e giudizi. A prescindere da una specifica competenza in materia. E anzi disprezzando e irridendo le fatiche di chi ha invece puntato su una formazione specifica che si raggiunge soltanto imparando ad apprezzare le ‘sudate carte’, per dirla con Leopardi”.

Perché la bufala cattura spesso molti lettori, mentre la notizia vera viene sovente trascurata?
“Perché la bufala viene congegnata a non avere scopo né informativo né divulgativo (nell’accezione tradizionale), bensì commerciale o propagandistico-politico. Mira a formattare le teste, a livellarle e uniformarle, verso il basso. Io l’ho denominato ‘effetto centro commerciale’: a fronte della reclamizzazione di prezzi convenienti, troviamo prodotti seriali di scarsa qualità. L’effetto è l’uniformità non solo nella forma, ma soprattutto nella sostanza. A scapito della qualità, delle peculiarità, della bellezza, che solo l’unicità può dare. Per rimanere nel contesto commerciale, nell’economia interna l’artigianato attraversa una grande crisi perché i consumatori si orientano su prodotti omologati. Ciò comporta una generale involuzione, che si ripercuote su tutti i settori. La constatazione, letta a contrario, comporta il seguente rilievo: l’artigianato italiano viene apprezzato in alcuni Paesi esteri che, dotati di una sorprendente capacità di valorizzare l’originalità, la esplica anche in ambito politico-culturale. Quelli sono Paesi in evoluzione, e il progresso quando viene percepito come un valore si contamina a tutti gli ambiti, individuali e collettivi”. 

Con un eventuale Antitrust delle bufale, non c’è rischio di censure?
“Se la funzione è declinata nel rispetto dei princìpi della nostra Costituzione, allora no. Poiché, come per la circolazione stradale, i limiti, i divieti e le sanzioni esistono e sono accettati dalla collettività in quanto funzionali al perseguimento di un interesse superiore: quello della sicurezza. È allora chiaro che la vera libertà non consiste nel potere di pubblicare in internet tutto ciò che ciascuno si sente di dire: la vera libertà è ben conscia dei propri limiti, e coerentemente li rispetta”.

Mi fai un altro esempio?
“Per esplicare la mia professione devo essere iscritta a due albi professionali, in simultanea: quello degli avvocati e dei giornalisti (elenco pubblicisti). Ne consegue che sono soggetta a delle regole, non solo giuridiche in senso stretto, bensì anche di natura deontologica, e la cui eventuale violazione comporterebbe sanzioni, quali la sospensione o addirittura la radiazione. E, in ipotesi, mi troverei senza lavoro. Un meccanismo analogo dovrebbe essere congegnato per ogni utente attivo del web. Il mancato rispetto dei princìpi e delle regole vigenti dovrebbe (uso il condizionale essendo ben conscia delle difficoltà che spesso si incontrano nel rintracciare la vera fonte di una determinata pubblicazione) comportare per il responsabile anche la compressione della propria libertà di utilizzo della rete. E quindi l’incapacità, per una durata commisurata alla gravità dei fatti commessi, di pubblicare contenuti. Un codice di condotta per gli utenti web non violerebbe l’articolo 21 della Carta Costituzionale, la quale tutela la libertà di pensiero e di espressione: al contrario, è proprio la compiuta declinazione di questi princìpi che trarrebbe il maggior giovamento dalla canonizzazione di regole di comportamento per gli utenti del web”.

Beppe Grillo vuole una giuria popolare sull’autenticità delle notizie. Sei d’accordo?
“No. Evocare il giudizio popolare, prescindendo dall’esame delle specifiche competenze di chi è chiamato a svolgere una funzione così delicata, significa mortificare la funzione stessa: tutto sarebbe soggetto alla sola regola del ‘like’ popolare, tanto in voga oggi, i cui effetti distorsivi si ripercuotono gravemente sulle scelte politiche sociali del Paese. La ‘popolarità’ sostituirebbe i princìpi costituzionali e il diritto vivente quale unico metro di giudizio. Elevare l’audience a criterio di valutazione significa confinare la giustizia e la verità nel campo del meramente opinabile: sarà vero e giusto soltanto ciò che piace al popolo. Al contrario, la vera rivoluzione consiste nel ricollocare il merito e le competenze individuali al ruolo preminente che dovrebbero rivestire in ogni moderna democrazia, ridando smalto, al contempo, alla ormai consunta cornice etica rappresentata dai valori della nostra Costituzione”.

Ma alla fine, quale può essere una definizione particolare di bufala?
“La bufala può essere vista come espressione di una sottocultura, di analfabeti culturali, disabituati alla legalità e all’etica, che utilizzano il web per finalità non in linea con i princìpi giuridici e morali. L’accesso ai mezzi di comunicazione anche ai non addetti ai lavori ha comportato la proliferazione della spazzatura nei media. Servono persone preparate, specializzate, e irreprensibili sotto il profilo della condotta individuale. Evidenzio che i giornalisti sono tali in quanto dotati di una preparazione tecnica che consente loro di operare nel contesto dei media, e obbligati alla formazione professionale continua. Il qualunquismo non può essere sconfitto con un’ulteriore espressione del medesimo problema. Vince la guerra soltanto chi può contare su un sistema efficiente e dinamico, che sottende un sistema educativo solido e al passo coi tempi. Solo individui adeguatamente preparati allo scopo potrebbero sindacare le notizie e le modalità attraverso le quali vengono gestite nei vari mezzi di comunicazione”.

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